Onestà: il suo valore in un Paese di corrotti

Un appalto su tre è truccato. L’evasione fiscale vale 120 miliardi di euro l’anno. Un ecoreato ogni 18 minuti. Forse non riusciamo più a riconoscere il valore dell’onestà

cos'è l'onestà

Quanto siamo diventati corrotti, in Italia e non solo. Siamo. Ogni giorno, come la sveglia, suona il campanello dell’allarme di un capobastone della politica, dall’ultimo consigliere circoscrizionale a qualche potente assessore, o simile, che viene preso con le mani nella marmellata per una o più mazzette. Ogni giorno, da Bolzano a Reggio Calabria, c’è una sventagliata di arresti (tutti da poi da verificare in sede giudiziaria), figli legittimi e naturali, per esempio, del fatto che nel Belpaese, e questa è una statistica che parla da sola, un appalto su tre è truccato. Cioè (non) portato a termine con una filiera di disonesti da film di Totò e Peppino intitolato La banda degli onesti. Con un doppio spreco: soldi rubati e opera mai realizzata. Eppure, visto che in fatto di leggi non ci facciamo mai mancare nulla, il Codice degli appalti è stato riformato 563 volte con 148 rinvii ad altre norme.

VALORE DELL’ONESTÁ

La corruzione, e quindi l’eclissi dell’onestà, è diventata la prima zavorra dell’Italia. E se guardate ad alcuni paesi del mondo, pensate a quasi tutte le nazioni del Sud America, vi potete rendere del fatto che, se non si riesce a estirpare questo male assoluto, anche i popoli che hanno a disposizione le più importanti ricchezze naturali, finiscono per affogare nella miseria di massa. Quella che colpisce tutti, tranne quei ricchi portatori sani del virus della disonestà. Ma la corruzione, se davvero vogliamo provare a contrastarla o comunque a contenerla, restando con i piedi per terra e considerando l’attaccamento naturale dell’uomo al denaro, al potere, al successo, ed all’idea di arrivarci a qualsiasi prezzo, non possiamo scaricarla tutta sulle spalle degli altri.

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ONESTÀ

Troppo comodo e facile indossare i panni delle anime belle, dei casti e puri che poi, magari, si dimostrano più disonesti dei corrotti. Forse, è il caso di affrontare questo gigantesco spreco partendo da uno specchio. Guardiamoci e domandiamoci, senza arroganza, senza presunte superiorità morali, una cosa semplice: “Nel mio stile di vita quotidiano, posso definirmi una persona onesta?“. E aggiungiamo: “Sono consapevole del fatto che un mondo dove il valore dell’onestà non è più riconosciuto, non potrà mai essere sostenibile?”.

E aggiungiamo: «Sono consapevole del fatto che un mondo dove il valore dell’onestà non è più riconosciuto, non potrà mai essere sostenibile?» Stili di vita, sostenibilità e senso della comunità si intrecciano. Un esempio: siamo il paese europeo con la più alta percentuale di spazzatura che finisce nelle discariche (40 per cento), luoghi dell’orrore che l’Europa ci chiede da anni, inutilmente, di chiudere. E allo stesso tempo siamo il paese dove si consuma un ecoreato ogni 18 minuti. A qualcuno, e non si tratta di una ristretta minoranza di mascalzoni, la chiusura delle discariche non conviene.

CORRUZIONE IN ITALIA

La disonestà di alcuni, è una legge della fisica più che della sociologia, la paghiamo tutti. I vasi comunicanti sono evidenti, per esempio, a proposito di un fenomeno di disonestà molto diffuso in Italia: l’evasione e l’elusione fiscale. Si parla di 120 miliardi all’anno sottratti al fisco, e quindi allo Stato, alla possibilità di fare investimenti in Sanità, scuola e ricerca. Allo stesso tempo l’Italia è diventato il quinto paese al mondo per pressione fiscale, con appena l’1 per cento dei contribuenti che dichiara un reddito superiore ai 100mila euro. Secondo il Rapporto della banca dati dell’Agenzia delle Entrate, l’evasione in Italia ha ormai raggiunto il 38 per cento delle imposte e la sola Irpef si traduce, per ogni italiano, in circa 2mila euro l’anno sottratti alle dichiarazioni.

IMPORTANZA DELL’ONESTÁ

Confesso che, nonostante l’autorevolezza scientifica della fonte di questa notizia e l’originalità del risultato delle ricerca, laddove il cervello non finisce mai di stupirci ogni volta che ne approfondiamo il meccanismo, confesso, dicevo, che l’idea di un cervello disonesto mi fa soltanto sorridere. Non mi convince. In quanto prescinde da qualcosa che viene prima e dopo, e riguarda la nostra dimensione etica di uomini e di donne.

Parliamoci chiaro: in Italia la disonestà ha assunto le dimensioni di un devastante e capillare fenomeno di massa, i cui rivoli sono entrati dappertutto fino peggiorare in modo sostanziale lo stesso tessuto della nostra convivenza civile. Ma uno dei motivi per i quali la capacità di imbrogliare in Italia è ormai diventata un’abitudine non è il funzionamento del nostro cervello, che tra l’altro è analogo a quello di qualsiasi altro cittadino del mondo, quanto la perdita di valore, di senso, di significato, della stessa parola, onestà, e del suo contrario, disonestà. Come se tra i due termini non ci fosse alcuna differenza radicale, ma piuttosto un’assonanza che sfuma qualsiasi confine. Dunque per risalire la china da questa deriva di popolo e di nazione, dobbiamo forse partire dalla riscrittura delle parole, del lessico, che formano i primi punti cardinali dell’onestà.

La mancanza di onestà, piccola e grande, è tragicamente diventata un fattore comune che unisce molti settori della comunità nazionale. Dove la capitale, Roma, ha visto diventare l’illegalità , a tutti i livelli, la sua attività economica più diffusa.

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IL VERO SIGNIFICATO DELLA PAROLA ONESTÁ

Nel Paese più corrotto dell’eurozona e del G7, e dove ogni giorno si apre un nuovo squarcio su fenomeni di corruzione, viene voglia di porsi una domanda: ma l’onestà in Italia ha ancora un significato? La consideriamo ancora un valore, più che una virtù, alla base della nostra vita sociale? Siamo consapevoli che senza il valore dell’onestà, senza uno scatto etico prima che civile, qualsiasi discorso sul nostro futuro come comunità rischia di essere astratto? E abbiamo capito che la disonestà è un prezzo, molto alto, che paghiamo in termini di inefficienza e di degrado generale del sistema? Uno spreco a tutto tondo.

Forse, per restituire dignità e centralità all’onestà bisogna partire dai fondamentali, e cioè dal suo significato. Come fa molto bene in un libro pubblicato recentemente (Onestà, edizioni Cortina) la filosofa Francesca Rigotti che ci ricorda la ricca polisemia del termine, cioè la diversa quantità di significati che possiede. Il primato, riconosciuto da decenni, dell’economia e del mercato (cioè del denaro) ha infatti ridotto l’onestà a una categoria dentro la quale rientrano quelli che non rubano, non frodano, non corrompono. Non è così. L’orizzonte dell’onestà si allarga a fisarmonica in una parte integrante del nostro carattere, nelle intenzioni e nelle disposizioni dei nostri comportamenti, nella stessa fisionomia dell’uomo.

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COME ESSERE ONESTI

Già l’etimologia della parola ci segnala un nesso tra “onestà” e “onore”, che non è certo una categoria economica. L’honestus, scriveva con straordinaria sintesi Cicerone, è appunto l’uomo degno di onore. E in inglese la traduzione di onesto è honest, cioè colui il quale dice la verità, un’altra attitudine del carattere più che della pratica in economia. Non a caso, per gli anglosassoni, americani e inglesi, la bugia nella vita pubblica e privata, è una colpa che non è perdonata, molto più di un reato penale ai fini delle conseguenze. Il politico colto in flagranza di bugia, viene giudicato immediatamente come disonesto, come colui che non dice la verità, e dunque non è affidabile; il contribuente infedele con le sue dichiarazioni per non pagare le tasse, rischia il carcere e l’isolamento sociale. Per il bugiardo non c’è scampo: una volta scoperto, è fuori gioco. Mentre l’onestà, come scriveva Cervantes nel Don Chisciotte è la «migliore politica», nel senso più pieno della parola.

(Nell’immagine di copertina, una scena tratta dal film La banda degli onesti con Totò e Peppino)

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