Usa, ecco il grande spreco dell’intelligence

La smentita d’ordinanza e’ arrivata puntuale mentre le copie finivano nelle mazzette del Congresso e quell’enciclopedia dello spreco dell’intelligence Usa – 854mila persone impegnate, 3202 agenzie, 50mila report all’anno impossibili da controllare – prendeva forma nei grafici web del Washington Post. “Questa inchiesta non riflette l’immagine che conosciamo: la verita’ e’ che gli uomini e […]

La smentita d’ordinanza e’ arrivata puntuale mentre le copie finivano nelle mazzette del Congresso e quell’enciclopedia dello spreco dell’intelligence Usa – 854mila persone impegnate, 3202 agenzie, 50mila report all’anno impossibili da controllare – prendeva forma nei grafici web del Washington Post. “Questa inchiesta non riflette l’immagine che conosciamo: la verita’ e’ che gli uomini e le donne dell’intelligence ogni giorno ottengono successi che non possono essere rivelati”, bla bla bla. Firmato: David G. Gompert. Cioe’ il direttore pro tempore dell’Intelligence nazionale: l’uomo che sostituisce quell’ammiraglio Dennis Blair defenestrato da Barack Obama dopo gli ultimi flop.

Ma c’e’ poco da smentire. E c’e’ invece da scommettere che altre teste salteranno – non ora, la forma va salvata – dopo questa grande inchiesta sulla “Top Secret America”. Lo stesso portavoce di Obama, Robert Gibbs, l’ha ammesso: “Eravamo preoccupati per la pubblicazione di questi dati”. Il quotidiano chiarisce che ha mostrato tutti i grafici ai responsabili dei Servizi prima di andare in stampa. Ma l’effetto e’ devastante.
Una nazione parallela costruita nel segno della paura. Un impero cresciuto cosi’ a dismisura che nessuno – tra le decine e decine di persone intervistate: dal capo del Pentagono Robert Gates fino all’ultimo degli analisti – e’ in grado di rispondere a tre domande principali. Quanto costa? Quanta gente ci lavora? E soprattutto: quanto e’ efficace? “Non sono questioni accademiche” scrive il giornale. “La mancanza di focus, non la mancanza di risorse, e’ al centro della strage di Fort Hood che ha fatto 13 morti. Cosi’ come dell’attentato di Natale: sventato non dalle migliaia di analisti impiegati per trovare un terrorista solitario ma dall’allarme di un passeggero”.

Si arrende perfino il capo del Pentagono: “C’e’ stata cosi’ tanta crescita dopo l’11 settembre che cercare di tenere sotto controllo tutto e’ una sfida: non solo per il direttore della National Intelligence, ma per ogni operatore, per il direttore della Cia, per me stesso”. Anzi ora proprio Gates insiste: “Ok, abbiamo costruito un meccanismo enorme: ma non e’ che abbiamo molto piu’ di quello che serve?”. Corre ai ripari anche Leon Panetta, il capo della Cia: “Soprattutto con questo deficit, dobbiamo essere pronti ad abbattere qualche muro”.

Muro? L’intelligence Usa e’ un labirinto. Problema numero uno: la duplicazione inefficiente di centinaia di agenzie. Tutte sulla stessa palla. L’esempio e’ quello della strage di Fort Hood. Perfino l’esercito ha la sua bella unita’ d’intelligence: solo che invece di raccogliere le denunce sul sergente psichiatra Nidal Malik Hasan che inneggiava alla jahad, raccoglieva straordinarie informazioni su hezbollah, pasdaran e Al Qaeda “che non aggiungevano nulla a quello che gia’ sapevamo”, rivela oggi un ufficiale del Pentagono. Problema numero due: la moltiplicazione dei dati. Ogni giorno, 1.7 miliardi di email, telefonate e comunicazioni sono raccolte dalla National Security. E come vengono analizzate? Michael Leiter, il direttore del National Counterterrorism Center, e’ costretto a lavorare su 4 computer collegati a sei mega-hardisk che non si connettono tra di loro. Una buona notizia c’e’: “Finalmente riesco a ricevere tutta la posta su una casella sola”.

“Un mondo segreto cresciuto al di fuori di ogni controllo”: il titolo della prima puntata dice tutto. Ma gia’ c’e’ attesa per oggi: il giornale alzera’ il velo sulla dipendenza del governo dai fatidici contractors (ricordate la Blackwater?). Una cosa l’inchiesta l’ha gia’ ottenuta: riportare il giornale di Washington ai fasti del Watergate. La coppia Carl Bernstein e Bob Woodward fece la storia del giornalismo costringendo il presidente Richard Nixon alle dimissioni. Qui, va detto, le responsabilita’ sono piu’ diffuse: l’inchiesta e’ cominciata due anni fa, regnante ancora quel George W. Bush che gia’ nove giorni dopo l’11 settembre aveva chiesto al Congresso 40 miliardi (e 36.5 miliardi nel 2002, e poi 44 miliardi nel 2003) per combattere Al Qaeda. Anche la nuova coppia di scoopisti e’ diversamente assortita. Questa volta e’ composta da un maschio e una femmina: Dana Priest, che nel 2006 e poi nel 2008 si e’ aggiudicata due Pulitzer per aver svelato i segreti della Cia e l’abbandono dell’ospedale dei reduci Walter Reed, e William Arkin, un ex 007 passato al giornalismo e alla militanza ambientalista (fu lui a organizzare il blitz di Greenpeace durante la prima guerra del Golfo).

E se quarant’anni fa colpiva l’arroganza del potere nixoniano, oggi, soprattutto nell’America della recessione, a colpire e’ lo spreco. L’edificio da 3 miliardi e 400 milioni di dollari che il Department of the Homeland Security, quello che coordina l’incoordinabile, sta costruendo. O quelle Scif, sigla per Sensitive compartmented information facility, cioe’ stanze dove custodire il materiale segreto accumulato, che tra i capi degli 007 sono diventate uno status symbol.

Svela uno dei costruttori: “Non sei un vero boss fino a che non hai la tua bella Scif piu’ grande di quella del vicino. Per questa gente scatta una sorta di invidia del pene”. Che non e’ servita neppure a scovare un ragazzino nigeriano che il giorno di Natale voleva farsi saltare le mutande sui cieli di Detroit.

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