«Un miliardo di dollari per ripulire il delta del Niger»

A dispetto del suo nome, il presidente nigeriano Goodluck Jonathan si è visto recapitare dall’Onu un conto da un miliardo di dollari. A tanto ammonta, secondo una ricerca delle Nazioni Unite presentata ai primi di agosto, la spesa necessaria a ripulire la regione di Ogoniland, nel delta del Niger, devastata da mezzo secolo di attività […]

A dispetto del suo nome, il presidente nigeriano Goodluck Jonathan si è visto recapitare dall’Onu un conto da un miliardo di dollari. A tanto ammonta, secondo una ricerca delle Nazioni Unite presentata ai primi di agosto, la spesa necessaria a ripulire la regione di Ogoniland, nel delta del Niger, devastata da mezzo secolo di attività petrolifere.

I DANNI – Le perdite di greggio sono alla base del disastro ecologico e dei conseguenti rischi per la salute della popolazione. Secondo lo studio, l’acqua bevuta da almeno dieci collettività dell’etnia Ogoni è contaminata da idrocarburi. A Nisisioken Ogale, nella parte occidentale di Ogoniland, nei pozzi usati dalla comunità locale la quantità di benzene (sostanza cancerogena) è 900 volte più alta del limite raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. «L’impatto del petrolio sulla vegetazione di mangrovie è stato disastroso – si legge nel testo – (…), ha lasciato le piante prive di foglie e steli, con radici rivestite da uno strato di sostanze bituminose spesso anche un centimetro o più». La qualità dell’aria è compromessa. Le perdite causano frequenti incendi che distruggono la vegetazione e la compromettono anche per gli anni a venire. L’habitat dei pesci è stato distrutto e le acque superficiali contengono idrocarburi.

LE CONCLUSIONI – Per ripulire l’area sono necessari 25 o 30 anni e almeno un miliardo di dollari, che dovrebbero essere erogati dal governo e dalle compagnie petrolifere, entrambi sotto accusa: il primo per le norme in materia di attività estrattive, tra le meno severe al mondo; le seconde per l’inadeguatezza di controlli e manutenzione delle infrastrutture petrolifere. «L’industria petrolifera è un settore chiave dell’economia nigeriana da oltre 50 anni – ha commentato Achim Steiner, sottosegretario generale e direttore esecutivo dell’Unep (United Nations Environment Programme) -, ma molti nigeriani hanno pagato un prezzo alto, come dimostra questa valutazione».

LE POLEMICHE – Parlare di compagnie petrolifere, in questo caso, significa parlare soprattutto della Shell, per molti anni la più attiva in loco. La multinazionale anglo-olandese, che non estrae più nell’area studiata, attribuisce la maggior parte delle perdite di petrolio degli ultimi anni ai furti e agli assalti dei ribelli del Mend, il Movimento per l’emancipazione del Delta del Niger. Questi ultimi, invece, mettono in dubbio l’imparzialità della ricerca, richiesta dal governo africano e finanziata proprio dalla compagnia. La stessa Shell, nel giugno 2009, ha evitato il processo che la vedeva coinvolta nella morte del poeta e attivista Ken Saro Wiwa (che si batteva contro i metodi di estrazione e sfruttamento delle ricchezze petrolifere nigeriane, condannato alla pena capitale e impiccato) pagando 15 milioni e mezzo di dollari per il patteggiamento. Il gigante petrolifero ha sempre negato ogni coinvolgimento, dichiarando di aver accettato di regolare la faccenda per aiutare il «processo di riconciliazione».

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