Tiene in Italia il commercio equo e solidale

  La crisi è alle spalle, il commercio equo in Italia ha tenuto. I prodotti che garantiscono prezzi e ricavi equi ai piccoli produttori del Sud sono ormai noti e apprezzati. Lo afferma il bilancio reso noto in occasione della giornata mondiale del commercio equosolidale dall’Agices, l’associazione di categoria che monitora le organizzazioni. L’anno scorso, […]

 

La crisi è alle spalle, il commercio

equo in Italia ha tenuto. I

prodotti che garantiscono prezzi

e ricavi equi ai piccoli produttori

del Sud sono ormai noti e apprezzati.

Lo afferma il bilancio reso noto in

occasione della giornata mondiale del

commercio equosolidale dall’Agices,

l’associazione di categoria che monitora

le organizzazioni. L’anno scorso,

nonostante la contrazione generale

dei consumi, si è registrata solo una

leggera diminuzione del fatturato,

meno 0,6%, rispetto all’anno precedente.

«Si tratta di un fatturato di 100 milioni

di euro circa, – spiega il presidente

di Agices Alessandro Franceschini – il

70% del quale si registra nel sistema

della nostra associazione. E i primi

dati relativi al 2011 presentano segnali

di ripresa. Abbiamo monitorato le attività

dei 269 punti vendita presenti

in 16 regioni. Le botteghe garantiscono

occupazione a oltre mille persone

con una larga presenza femminile: sei

operatrici su dieci sono donne». Anche

la tendenza globale è positiva. Secondo

Flo, l’organizzazione dei marchi

di garanzia, il fatturato planetario

supera i 3,4 miliardi di euro e – comprendendo

anche i prodotti equosolidali

non certificati fairtrade e l’artigianato

– si aggira intorno ai 4 miliardi.

Il commercio equo, inoltre, sta ampliando

la gamma di prodotti. Non

più solo cioccolato, caffè, tè e zucchero

di canna, oggetti di artigianato.

Oggi si compra frutta e tessile e il concetto

di acquisto a prezzo giusto di

prodotti che garantiscono, grazie a una

filiera di controlli, adeguata retribuzione

ai produttori del Sud del pianeta

sta contaminando settori come

il calzaturiero, l’oreficeria, la moda.

Certo, siamo indietro rispetto a un

Paese da sempre riferimento

come il Regno Unito, dove la

Fairtrade foundation

ha appena annunciato

che le vendite

di prodotti etici sono

cresciute del 40% nel

2010 raggiungendo

un miliardo di sterline.

Lì l’equosolidale

fa tendenza e sostenerlo

è un fiore all’occhiello

per il settore privato. Tuttavia

l’Italia, nonostante le incertezze

legislative, con nove regioni che hanno

una normativa di promozione e una

proposta di legge nazionale ferma

in Parlamento, nonostante il settore si

sia avviato solo negli anni Ottanta tra

le solite liti e divisioni, ha davanti ampi

spazi di crescita.

Occorre sfondare sul mercato meridionale,

anzitutto. Le regioni in cima

alla classifica delle vendite dei soci Agices

sono tutte del Nord. Dal Trentino

Alto Adige, inarrivabile sulla cima

equosolidale con 35 milioni, seguito

dalla Lombardia con 12, dal Piemonte

con 10 milioni e dal Veneto con 7

milioni. Per farlo occorre puntare sulla

sensibilizzazione. Come nel caso

dello stesso Franceschini, che è anche

presidente della cooperativa di

commercio equo e solidale Pace e Sviluppo

di Treviso, e ha alle spalle 15 anni

di esperienza nel settore. La sua storia

è esemplare ed è iniziata come obiettore

di coscienza della Caritas diocesana

distaccato in una bottega: «Lo

sviluppo in Italia – aggiunge – è stato

possibile soprattutto grazie al contributo

del mondo cattolico. Molte botteghe

sono l’evoluzione dei banchetti

delle parrocchie e delle Caritas che

venivano organizzati da gruppi missionari,

associazioni, gruppi scout. I

prodotti storicamente venivano importati

e venduti per assicurare un

giusto profitto e nuovi sbocchi di mercato

a cooperative promosse da missionari.

Questa idea di giustizia e di

condivisione nella costruzione di un

cambiamento pacifico, condivisa anche

dai laici, è rimasta. Abbiamo

30mila soci e 5mila volontari e oggi le

botteghe svolgono un ruolo di promozione

culturale importante, specie

tra i giovani, che sono la chiave per

lo sviluppo e di informazione tra i

consumatori. Ad esempio, ai produttori

nel Sud chiediamo di reinvestire

i ricavi delle vendite nell’educazione

e nella formazione

delle loro comunità e

vogliamo che chi acquista

sappia cosa

sta finanziando».

Quanto ha inciso la

grande distribuzione

sulla crescita? «Sicuramente

molto –

continua il presidente

Dell’Agices –.

Nei supermercati vi

sono oggi due tipi di

presenze: i prodotti venduti direttamente

dai produttori con marchio

della catena e quelli delle centrali di

importazione. L’importante è garantire

al consumatore che sia equosolidale

doc». E pensare che 10 anni fa

si litigava se vendere o no nei supermercati.

Oggi i sistemi convivono e i

produttori, la cui sopravvivenza è legata

alle vendite, sentitamente ringraziano.

 

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