Tecnologia, non basta un clic

Leggere sui giornali che si e’ formato un nuovo gruppo Facebook, con migliaia di persone che discutono dello stesso tema, mi getta ogni volta nella disperazione. un modo illusorio di provare a risolvere i problemi: 25, 30 o 200 mila persone che cliccano su uno schermo e pensano di aver gia’ fatto tutto il possibile. […]

Leggere sui giornali che si e’ formato un nuovo gruppo Facebook, con migliaia di persone che discutono dello stesso tema, mi getta ogni volta nella disperazione. un modo illusorio di provare a risolvere i problemi: 25, 30 o 200 mila persone che cliccano su uno schermo e pensano di aver gia’ fatto tutto il possibile.
Adorabile retrogrado, Jonathan Coe, romanziere di successo, geniaccio dell’umorismo su pagina e acuto osservatore della societa’ britannica e dei rovesci politici che ne hanno segnato la storia recente: dagli anni ’70, fotografati nel suo La Banda dei Brocchi al nuovo secolo di Circolo Chiuso, La pioggia prima che cada e I terribili segreti di Maxwell Sim, il suo ultimo romanzo. Retrogrado non nel senso dispregiativo del termine italiano, ma in quello inglese di old-fashioned, come ha ammesso lui stesso senza vergogna.

I “like” e i “join” non cambiano il mondo
Per lo scrittore impegnato alla scrittura del suo decimo romanzo, che si preannuncia molto diverso dagli altri, l’esistenza virtuale e’ una vita per sottrazione, impoverita alla sua radice quadrata.
Cosi’ e’ per Maxwell Sim, protagonista del suo ultimo romanzo: 50enne in crisi familiare, assalito dalla solitudine, antieroe che ha 70 amici su facebook ma nessuno con cui andare a prendere un caffe’, caricaturizza Coe, camicia di lino a quadretti, giacchetta grigio scuro, carnagione pallida del Worchestershire e il sorriso sardonico del consumato maestro d’umorismo.
Se nel titolo italiano a essere terribili sono i segreti di Maxwell, in quello inglese (The terrible privacy of Maxwell Sim) lo e’ invece la sua privacy, termine piu’ articolato che abbraccia la sua dimensione privata, intima. Comunicare con sms, Facebook e Twitter offre il brivido della compresenza, ci consente di sperimentare relazioni anche stimolanti. Eppure, ci prosciuga emotivamente: siamo disposti a schermarci dietro personalita’ virtuali per renderci un po’ piu’ impermeabili, freddi e distanti. Ma, al tempo stesso, vogliamo apparire coinvolti, caldi e vicini. Molto fashionable, direi. Ma totalmente inutile, precisa lo scrittore. Con buona pace della retorica della rivoluzione digitale che democratizza il mondo e da’ voce a emarginati e outsider. E della meravigliosa, seppur inquietante, sensazione di essere tutti, sempre, connessi ad altri esseri umani.
Eppure anche Coe ha un suo sito (vai), con tanto di blog. La tecnologia e’ neutra, ne’ buona ne’ cattiva a priori. Sta a noi evitare di perdere la ragione e innamorarci morbosamente della voce suadente del nostro navigatore satellitare, come succede a Max. Pero’ la tecnologia deve per forza essere uno strumento, non un fine. Stiamo cercando un punto di equilibrio nell’usare il web, ma ancora non l’abbiamo trovato, aggiunge il romanziere.
E rilancia: Vogliamo utilizzare Facebook per darci appuntamento a Hyde Park e protestare in un milione, gomito a gomito, contro la guerra in Iraq? Ci sto. Perche’ la piazza e la strada sono potenti e i messaggi che lanciano piu’ duraturi. Smettiamola, pero’, di usare il digitale come una scappatoia per non affrontare i problemi. L’Inghilterra e’ un paese in cui il 55% di votanti alle elezioni e’ gia’ un successone. Continuiamo a cliccare su like e join, ma siamo diventati apatici

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