Shopping più responsabile per non sprecare

Non piu’ compulsivi ma selettivi. Attenti nella scelta, nomadi nella ricerca, abilissimi nell’ equazione miglior qualita’ minor prezzo, surfisti delle offerte, decodificatori di etichette e codici, bio, etici e responsabili. La crisi incalza e la vita s’ adegua, i consumi prima crollano ma poi si plasmano al tempo, e tra gli scaffali dell’ invenduto nasce […]

Non piu’ compulsivi ma selettivi. Attenti nella scelta, nomadi nella ricerca, abilissimi nell’ equazione miglior qualita’ minor prezzo, surfisti delle offerte, decodificatori di etichette e codici, bio, etici e responsabili. La crisi incalza e la vita s’ adegua, i consumi prima crollano ma poi si plasmano al tempo, e tra gli scaffali dell’ invenduto nasce una nuova categoria di “utenti intelligenti”, come li definisce il sociologo Giampaolo Fabris, piu’ sobri, piu’ austeri forse, ma non per questo “meno felici”. Professor Fabris, chi sono i nuovi consumatori? Siamo di fronte a un mutamento “antropologico” dello shopping? Si’, il mutamento epocale e’ in atto e la crisi economica non ha fatto altro che accelerarne la corsa. Piu’ che di nuova sobrieta’ pero’ parlerei di una riscoperta della responsabilita’. Perche’ pur in una contrazione di costi e di spese il consumo mantiene intatte le sue caratteristiche ludiche e di appagamento, cio’ che cambia sono gli universi di riferimento. Faccia un esempio. L’ etica.I consumatori premiano le aziende chea loro parere si comportano bene, nel senso che non sfruttano i lavoratori, non inquinano, riciclano, non fanno sperimentazioni sugli animali.

I soldi sono pochi e devono essere spesi bene, benissimo. Un dato che fa riflettere e’ che in piena recessione di acquisti, le vendite dei prodotti del mondo green, cioe’ verde, ecologico, rinnovabile, sono aumentate dell’ 8 per cento. Tanto che alcune catene della grande distribuzione hanno cominciato a far apparire sui loro scontrini la quantita’ di anidride carbonica prodotta dai diversi marchi. Lei sostiene pero’ che la tendenza a una maggiore sobrieta’, anzi responsabilita’, fosse gia’ in atto prima della crisi. Non e’ dunque soltanto la necessita’ a renderci piu’ impermeabili al consumo? I farmers market,i gruppi di acquisto solidale esistono da anni. Ma erano piccoli mondi alternativi alla grande distribuzione. Oggi sono realta’ economiche concrete, simboli appunto di quella nuova antropologia del consumo, dove si preferisce una mela italiana magari meno bella, a una mela neozelandese, rossa e perfetta, ma nel cui costo sono compresi litri e litri di carburante scaricati nell’ aria durante il trasporto fino ai nostri scaffali. In uno dei suoi ultimi libri lei trasforma la parola “marketing” in “societing”, dove i marchi e i prodotti si dematerializzano per diventare segni e simboli…

Certo perche’ il consumo e’ anche agire umano e sociale. E dunque ogni mutamento in questo campo crea cambiamenti nei modi di vivere, di pensare, di stare insieme. Infatti lei afferma che questa nuova sobrieta’, questo non poter piu’ comprare liberamente (o compulsivamente) ci ha resi, paradossalmente, piu’ felici. la tesi sorprendente di una ricerca che avevo effettuato nel Natale scorso. Pur non potendo piu’ spendere per i regali il budget dell’ anno prima, le persone rispondevano che questo sacrificio non le aveva rese piu’ tristi ma anzi piu’ felici e selettive. Le stesse parole di chi supera una fase bulimica della propria vita. Lo shopping e’ anche una modalita’ del tempo libero. Soprattutto per i giovani, che passano i pomeriggi nei centri commerciali. E adesso? Non lo nego, questa e’ la sfida. Sostituire i beni di consumo con i beni di relazione. Bisognera’ ripensare il tempo libero. Passare cioe’ dallo spendere al parlare, dal guardare le vetrine al guardarsi negli occhi. Non e’ facile, ma e’ una grande occasione.

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