Sei milioni di italiani rischiano di finire come le povere vittime dell’alluvione in Liguria e in Toscana. Ecco come si tagliano i fondi per la tutela del territorio e dilagano gli speculatori

Sei milioni di italiani vivono nelle stesse condizioni delle vittime delle tragiche alluvioni di ieri in Liguria e in Toscana. Il dato, tra i tanti numeri che circolano a proposito del degrado ambientale nel Belpaese, fotografa un pezzo d’Italia a rischio idrogeologico. Cittadini che possono rimetterci la pelle ogni giorno, ogni minuto, ogni secondo, viste […]

Sei milioni di italiani vivono nelle stesse condizioni delle vittime delle tragiche alluvioni di ieri in Liguria e in Toscana. Il dato, tra i tanti numeri che circolano a proposito del degrado ambientale nel Belpaese, fotografa un pezzo d’Italia a rischio idrogeologico. Cittadini che possono rimetterci la pelle ogni giorno, ogni minuto, ogni secondo, viste le condizioni delle loro abitazioni, i luoghi dove sono state costruite, e i mutamenti climatici. Il Consiglio nazionale delle ricerche ha calcolato che, negli ultimi quarant’anni, quasi 5mila italiani hanno perso la vita per frane o alluvioni. E nella fascia alta della classifica delle regioni più colpite, con morti e feriti,  compaiono proprio la Liguria e la Toscana, messe in ginocchio dall’ultima catastrofe: una simmetria di eventi che non può essere certo considerata una pura coincidenza, ma piuttosto uno dei tanti frutti avvelenati di un territorio degradato e abbandonato alla sua roulette russa con le calamità. Soltanto in Liguria, per restare all’epicentro di ieri, si contano 470 chilometri quadrati di territorio ad elevato rischio idrogeologico. Praticamente tanti vulcani, che possono esplodere all’improvviso.

E’ chiaro che una condizione così esposta alla possibilità di un dramma umano e sociale non ha una sola origine e una sola fonte di responsabilità. Parliamo, infatti, di guai che arrivano da lontano, innanzitutto nel tempo. Dal 1948 ad oggi in Italia si commettono 203 abusi edilizi al giorno, 74mila all’anno: una cifra spaventosa, il termometro di un Paese fai-da-te e anche molto spregiudicato, nel suo insieme, quando si tratta di costruire senza rispettare le norme di legge.  Per non parlare dell’aggravante sull’identità di alcuni tra i principali autori dello scempio. Il 70 per cento dei comuni sciolti per l’inquinamento malavitoso della pubblica amministrazione, dal 1991 ad oggi, hanno in comune un solo elemento: le mani sul territorio, attraverso l’abusivismo edilizio di massa, da parte di clan locali o nazionali. Un fenomeno che non va ricondotto solo al solito Mezzogiorno, prigioniero della malavita, ma purtroppo si è esteso, come dimostrano le statistiche, anche in regioni del Centro Nord. Ancora Liguria e Toscana, per esempio.

A questo punto di partenza c’è da aggiungere, prima e dopo, un secondo elemento decisivo per capire dove siamo finiti: la cancellazione della prevenzione e di una manutenzione, ordinaria e straordinaria, del territorio e di molti, troppi fabbricati. Ancora qualche dato: nel censimento di 1.260.000 (sì, più di un milione) edifici considerati a rischio per frane o alluvioni, compaiono anche 6mila scuole e 531 ospedali. A conferma del fatto che il degrado è molto generalizzato, e comprende sia costruzioni private sia luoghi pubblici.

In particolare, la prevenzione del Belpaese è una parola sempre più difficile da declinare in una Italia dove i soldi pubblici scarseggiano e gli sprechi di risorse dello Stato aumentano vertiginosamente, anche perché nessuno riesce (o peggio: non vuole) a contenerli, e l’incertezza più totale avvolge, come una nube tossica, stanziamenti che invece dovrebbero fare parte delle necessità prioritarie del sistema Paese. Un continuo balletto di cifre, addizioni e sottrazioni, quasi sempre accompagnate da qualche scontro nel governo, accompagna la politica di prevenzione ambientale, e in particolare gli interventi per ridurre il rischio idrogeologico. Con le ultime decisioni prese, innanzitutto dal ministro dell’Economia, in materia di tagli ai ministeri per rispettare il patto di stabilità, è venuto fuori che il ministero dell’Ambiente dovrebbe esercitare le sue prerogative con un budget, per il 2012, di 380 milioni di euro, un quinto rispetto alla cifra di cui disponeva soltanto nel 2008. Conclusione: mentre il ministero dell’Ambiente deve pagare, ogni anno, 288 milioni di euro per le spese del personale, i fondi per i dissesti idrogeologici sono di fatto azzerati. Neanche un euro. Poi magari qualcosa apparirà, tra un negoziato e l’altro, esattamente come le risorse per le infrastrutture considerate strategiche per il futuro dell’Italia. Un giorno sono annunciate, e la sera dopo risultano eliminate o semplicemente virtuali. Giochi di prestigio, e di potere, in un contesto finanziario sicuramente pesante, che hanno un sola matrice in comune: si consumano sulla pelle degli italiani.

 

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