Sardegna, fogna della Nato

di Antonietta Demurtas Massimo Carlotto l’aveva scritto nel 2008: «Quel poligono produce morte», ma il suo Perdas de Fogu (edizioni e/o) era un noir mediterraneo. E anche se per raccontare quella storia aveva fatto un’inchiesta (oltre 1.500 pagine di documenti e certificati) con l’aiuto di altri nove autori riuniti nella sigla Mama Sabot, il suo rimaneva un romanzo.  Nel […]

di Antonietta Demurtas

Massimo Carlotto l’aveva scritto nel 2008: «Quel poligono produce morte», ma il suo Perdas de Fogu (edizioni e/o) era un noir mediterraneo. E anche se per raccontare quella storia aveva fatto un’inchiesta (oltre 1.500 pagine di documenti e certificati) con l’aiuto di altri nove autori riuniti nella sigla Mama Sabot, il suo rimaneva un romanzo. 
Nel libro, pastori sardi e veterinari, affaristi e politici, ex contractor e strutture di sicurezza privata, militari e industrie di armamenti legati dal grande business della produzione bellica potevano sembrare i protagonisti di una spy story fatta di tradimenti, omicidi, intrighi e colpi di scena, ma lo scrittore padovano sapeva di raccontare la realtà.
DUE ANNI DI STUDI E ANALISI. Carlotto ci aveva messo due anni a capire gli intrecci e i misteri che ruotano intorno al Poligono sperimentale di addestramento interforze del Salto di Quirra. A chiedergli di fare delle ricerche erano stati gli abitanti di quella zona della Sardegna compresa tra Cagliari e Nuoro dove  appunto si trova il Poligono, che da anni denunciavano malformazioni e tumori.
E oggi che a dargli ragione c’è un’inchiesta della Procura della Repubblica di Lanusei (Ogliastra), più che di soddisfazione, Carlotto parla di «speranza: che finalmente quella base militare venga chiusa».
NEL POLIGONO C’È URANIO 238. Dal 26 febbraio in due magazzini, uno del poligono a terra di Perdasdefogu (12 mila ettari) e uno del poligono a mare di Capo San Lorenzo (che si estende per quasi 50 chilometri lungo il tratto sud orientale della costa) sono infatti state ritrovate e sequestrate cinque cassette metalliche con valori di radioattività cinque volte superiori alla norma e 10 contenitori contenenti metal detector di vecchia generazione con quadrante radioattivo mai smaltiti. Il tutto senza alcuna indicazione sulla pericolosità nucleare. 
Ora non ci sono più dubbi: nel Poligono di Quirra, il più grande della Nato in Europa, c’è uranio 238, cioè uranio arricchito, quello utilizzato per preparare la bomba atomica di Hiroshima, che ora è stato portato nel bunker di Fisica nucleare dell’università di Cagliari. 

Nanoparticelle: dopo 60 minuti hanno già invaso il fegato

La notizia è stata accolta con un sospiro dallo scrittore padovano «perché almeno, dopo anni di depistaggi, smetteranno di negare che in quella base ci sia mai stato uranio, anche se il problema vero sono le nanoparticelle che questo materiale sprigiona quando una volta sparato entra in contatto con il bersaglio ed esplode», spiega.
UNA CONTAMINAZIONE FULMINEA. È allora infatti che l’uranio si sbriciola e rilascia sul terreno e nell’aria una polvere metallica pericolosa. Nanoparticelle, che una volta respirate, impiegano 60 secondi per raggiungere il sangue, pochi minuti per superare la barriera dei polmoni e dopo 60 minuti hanno già invaso il fegato.
Contaminazioni fulminee. È questo il vero male dell’inquinamento bellico, che colpisce sia chi combatte sul campo di battaglia, sia chi vive vicino a quelle basi dove si sperimentano le armi, dove si fanno esplodere ordigni che ad alte temperature sprigionano questo materiale.
IN SARDEGNA NUMERO RECORD DI LEUCEMIE. Ed è in un pozzo senza fine di segreti e veleni come la terra delle servitù militari in Sardegna, che gli investigatori stanno indagando in questi giorni. La Sardegna infatti ospita il 60% delle aree destinate al demanio militare italiano. Qui l’intreccio tra sperimentazioni, private e militari, di nuove armi ha causato un numero record di leucemie, linfoma di Hodgking e non Hodgkin, tumori e sindromi da affaticamento cronico. Una storia che in pochi hanno sinora raccontato, un’eccezione è il programma Report di Milena Gabanelli che nel dicembre 1999 dedicò un servizio alla base militare sarda (vedi video).

Sindrome di Quirra: la sfida del procuratore 

Una vera sfida per il procuratore capo di Lanusei Domenico Fiordalisi, che dovrà trovare una soluzione giuridica che possa porre fine alla connessione scientifica tra la ‘sindrome dei Balcani’ e la ‘sindrome di Quirra’, così l’hanno ribattezzata cittadini e comitati locali che da anni conoscono il male ignoto e che non capiscono perché in Sardegna si muore di pace. «Sarà un’inchiesta lunga e complessa, ci sono tanti elementi che dobbiamo valutare», commenta a Lettera43.it Fiordalisi, «il nostro obiettivo è verificare che la salute dei cittadini sia stata tutelata».
AGNELLI MALFORMATI E MORTI PRECOCI. Le vittime in questi anni sono soprattutto pastori che pascolano le loro greggi vicino al Poligono e che oltre ad assistere impotenti alle nascite di agnelli malformati, si ammalano essi stessi e muoiono nel giro di pochi mesi. Stessa fine fanno anche quelli del personale che lavora nella base, come i due  militari con mansioni di magazzinieri che hanno lavorato nel posto dove a febbraio sono state ritrovate le cinque cassette metalliche e che si sono ammalati di linfoma non Hodgkin.
«Speriamo che Antonietta Morena Gatti possa finalmente fare il suo lavoro, lei sa cosa cercare», commenta Carlotto, riferendosi alla professoressa dell’università di Modena, esperta di nanoparticelle e consulente della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito, che nei suoi studi ha già messo in evidenza una connessione fra i microresidui pericolosi ritrovati negli agnelli malati nati nei dintorni del Salto di Quirra e quelli presenti nei tessuti di soldati colpiti da tumore al ritorno dalle missioni di guerra nei Balcani e in Iraq.

Asl: «Dieci persone su 18 colpite da neoplasie tumorali in 10 anni»

A osservare questa connessione lo scorso 13 gennaio è stata anche la Asl di Cagliari: «Il 65% del personale, impegnato con la conduzione degli animali negli allevamenti ubicati entro il raggio di 2,7 km dalla base militare di Capo San Lorenzo a Quirra, risulta colpito da gravi malattie tumorali», si legge nella relazione dell’azienda sanitaria locale. «Nel decennio 2000-2010, sono dieci le persone che risultano colpite da neoplasie tumorali su un totale di diciotto. Si evidenzia una tendenza all’incremento, negli ultimi due anni sono quattro i nuovi casi di neoplasie».
L’ULTIMA PAROLA ALLA PROCURA. È la “sindrome di Quirra” sulla quale i sardi davvero avrebbero voluto fosse stato scritto solo un romanzo noir. Ma qui gli agnelli che nascono con sei zampe o con le orecchie al posto degli occhi, bambini nati con malformazioni (nel vicino paese di Escalaplano, 2.500 anime, sono una decina) e giovani malati di leucemia, li hanno visti veramente.

Ma se ci sono questi sospetti, perché ancora si discute se tenere aperta la base? «Qui il principio di prevenzione usato nella vita civile non funziona, si continua a sparare e a fare esperimenti sulle munizioni», dice lo scrittore, «è tutto un problema di business, di aziende che hanno interessi economici e che per 50 mila euro all’ora vengono qui a sperimentare nuovi esplosivi e tutte le armi che vogliono».
Ma la vera follia, osserva Carlotto è che «mentre gli altri Stati hanno chiuso i poligoni sperimentali, l’unico rimasto aperto delle basi Nato è questo, e si trova nel cuore di un’isola a vocazione turistica».
Un paradosso che deve fare i conti con le forti collusioni tra ambienti della criminalità organizzata, dell’imprenditoria, della finanza e della politica. E se è chiaro che gli interessi economici sono grandi e incalcolabili, l’unica cosa da fare, secondo Carlotto, è una rivoluzione dal basso: «Serve un atto forte di testimonianza della comunità. O la gente del posto si ribella o sarà tutto contaminato. Per pochi posti di lavoro non devono rischiare la vita: la salute non ha prezzo». Intanto in attesa di una maggiore presa di coscienza, la parola fine potrà forse metterla la Procura.

«La speranza è che questa inchiesta arrivi a un risultato definitivo, soprattutto per rispetto delle vittime», dice Carlotto, anche se il fatto che ci siano molte istituzioni coinvolte non fa ben sperare: «Tutto dipende dalla volontà politica». Ma i tempi sono lunghi e intanto al Poligono si continua a lavorare.
Lo ha denunciato Indipendentzia Repubrica de Sardigna: il movimento indipendentista sostiene di aver ricevuto allarmate segnalazioni dagli abitanti della zona di Quirra su numerosi tiri effettuati il, 22 febbraio, da un grosso cannone navale dal porto a mare di San Lorenzo.
LA SPERIMENTAZIONE MILITARE. Attività di sperimentazione, che secondo gli indipendentisti, sarebbe condotta dall’Oto Melara, leader mondiale nella produzione delle artiglierie navali e veicoli blindati, munizioni guidate e sistemi antiaerei. Ma dalla base militare non si possono avere conferme. Perché al Poligono può venire chiunque, aziende di armamenti francesi, inglesi, americane che hanno bisogno di testare le loro nuove armi, pagano, sparano e vanno via.
LA PROPOSTA DEL PDL. Per questo non stupisce neanche più di tanto se ancora oggi il senatore del Pdl Cosimo Gallo, componente della Commissione parlamentare sull’uranio impoverito, propone di sperimentare nei poligoni sardi munizionamenti all’uranio impoverito per verificare l’effettiva presenza di fattori patogeni. «Una sciocchezza»,  ha commentato il presidente della Regione, Cappellacci, «parole gravi e inaccettabili, indegne di un rappresentante della Repubblica: farebbe meglio a dimettersi». 
INQUINAMENTO INCOMBENTE. Ma per Carlotto più che di dimissioni, si deve parlare di dismissioni: «Se non si chiude, il destino della zona del poligono di Salto di Quirra è la desertificazione umana. Quando avranno finito di sperimentare, nessuno ci potrà più stare, sarà talmente inquinato che sarà impossibile viverci. E parliamo di un’area enorme». Nel suo romanzo inchiesta Carlotto si era basato solo sulle informazioni raccolte sulla parte terrestre della base, «perché non abbiamo trovato nessun dato sulla parte marina del poligono, che è grande una volta e mezza la Sardegna». Forse quello potrebbe essere il tema del sequel di Perdas de Fogu, un noir sempre più reale.

 

 

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