Ritorno al carbone, quello di Trump è solo un bluff. Non lo vuole nessuno

Il presidente americano non ha molte armi per smontare la politica ambientale di Obama, e lo sa bene. Quindi la sua è solo propaganda, come se fosse ancora in campagna elettorale. Intanto l'industria energetica americana investe miliardi di dollari sulle rinnovabili, e la Cina è ben contenta delle sparate di Trump, per I suoi obiettivi di leadership mondiale. Anche nella lotta all'inquinamento.

RITORNO CENTRALI A CARBONE –

Posso sbagliare, ma la svolta energetica annunciata da Donald Trump, più che il preludio a un ritorno alle centrali a carbone e allo smantellamento di tutta la politica ambientalista di Barack Obama (molto inferiore alle attese e alle promesse che Barack aveva fatto), è solo un bluff. Un ennesimo twitter da spendere in una campagna elettorale che per il presidente americano non è mai finita. E, per nostra fortuna, noi che consideriamo il cambiamento climatico un problema serio per l’umanità, e non solo per gli interessi di qualche industriale americano, l’idea di Trump di cestinare l’accordo mondiale di Parigi (che coinvolge anche la Cina) finirà in una bolla di sapone. Aria fritta.

Il mio ottimismo, che non significa la certezza di un mondo più pulito ma certamente prende atto di un mondo più consapevole del problema inquinamento, nasce da cose molto concrete.

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CLEAN POWER PLAN OBAMA –

Primo: il Clean Power Plan americano, che prevede la riduzione delle emissioni di Co2 del 32 per cento entro il 2020, è stato ben blindato da Obama: Trump non può abrogarlo con un semplice decreto, deve avviare un percorso politico e amministrativo di revisione che al Congresso, come nel caso della riforma sanitaria che Trump voleva cancellare, sbatterà contro il muro anche di alcuni repubblicani. Ci sarà, piuttosto, una luna partita di poker, con Trump che farà la parte dell’anti-ambientalista, solo per guadagnare consensi, e con la maggioranza degli americani che invece non lo seguiranno su questa strada. E le agguerrite associazioni green, che in America non scherzano in quanto a potenza di lobby, andranno anche in tribunale, pur di fermare un presidente che non ha ancora capito in quale mondo e in quale secolo vive e governa la prima potenza del mondo. Questa partita non finirà prima del 2020, quando intanto ci saranno nuove elezioni presidenziali negli Stati Uniti, e Trump potrebbe perfino tornare a casa, nella sua New York a occuparsi di speculazioni immobiliari. Sempre che riesca a finire il mandato…

RITORNO DELL’AMERICA AL CARBONE –

Secondo: in prima, contro il cambio di paradigma delle politiche energetiche, ci sono proprio i grandi gruppi industriali americani, non a caso il colosso petrolifero Exxon si è già precipitato ad avvisare la Casa Bianca di non smantellare l’accordo sul clima di Parigi, definendolo “molto utile ed efficace”. Qualcuno dovrebbe spiegare a Trump che l’industria energetica americana ha già fatto la sua riconversione, puntando in modo massiccio sulle energie rinnovabili (e sull’elettrico nel mondo dell’auto), sulle centrali a gas e da rinnovabili appunto, e con una graduale ma definitiva dismissione del carbone, ormai archiviato. La produzione di carbone in America sta continuando a crollare, anno dopo anno, siamo ai minimi nell’ultimo mezzo secolo, e negli ultimi cinque anni circa 60mila addetti sono usciti da un settore ormai secondario e poco profittevole per le stesse industrie. Il carbone, come fonte energetica, anche per effetto dello shale-oil e dello shale-gas, è sceso dal 50 al 30 per cento come fonte energetica, e continuerà ad andare sempre più a fondo. Chi vuole difendere Trump? Dei fantasmi? Una sola società, per fare un esempio, la Duke Energy, che ha appena annunciato investimenti per 11 miliardi di dollari nelle centrali a gas e da fonti rinnovabili potrà accogliere il bluff di Trump solo in un modo: con una pernacchia, quella che il presidente si merita con questa ossessione anti-ambientalista.

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POLITICA ENERGETICA TRUMP –

Infine, e siamo al terzo motivo del mio ottimismo, non sottovaluterei in questa partita il ruolo della Cina, che ha firmato l’accordo di Parigi, con una bella stretta di mano e una firma dei due presidenti, americano e cinese. Se l’America dovesse fare un passo indietro, la Cina, che rischia di implodere per l’inquinamento e quindi è costretta a fare sul serio sulle rinnovabili, diventerebbe agli occhi del mondo il paese leader nella riduzione globale di Co2, con uno schiaffo planetario agli Stati Uniti. Cosa che nessuno, repubblicani e democratici che siano, in America si può solo permettere di immaginare. Alla faccia delle trovate elettorali di Trump, che rischiano di dare solo il senso della sua inaffidabilità e della sua debolezza dopo il trionfale arrivo alla Casa Bianca.

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