Quanto vale salvare mare, oasi e foreste

La prima volta nessuno se l’aspettava. Il 22 aprile del 1970, quando il senatore americano Gaylord Nelson lanciò l’appello a fare un gesto in difesa del pianeta e 20 milioni di persone scesero in piazza, si capì che qualcosa stava cambiando: l’ecologismo usciva dal recinto della testimonianza e diventava movimento. Ora, dopo 41 anni, la […]

La prima volta nessuno se l’aspettava. Il 22 aprile del 1970, quando il senatore americano Gaylord Nelson lanciò l’appello a fare un gesto in difesa del pianeta e 20 milioni di persone scesero in piazza, si capì che qualcosa stava cambiando: l’ecologismo usciva dal recinto della testimonianza e diventava movimento. Ora, dopo 41 anni, la Giornata della Terra si è trasformata in un evento ufficiale e la prospettiva è cambiata ancora una volta perché gli economisti hanno cominciato a misurare non solo quello che serve per salvare il pianeta – che sopravviverebbe benissimo senza la specie umana – ma quello che noi perdiamo in termini di sicurezza fisica ed economica continuando a inquinare.

Non è un conto facile perché ci sono valori (la vita, la bellezza) difficilmente monetizzabili e conseguenze che si proiettano nel lungo periodo. Nonostante queste difficoltà Nicholas Stern, ex chief economist della Banca Mondiale, ha calcolato che, se non correggiamo il sistema produttivo basato sui combustibili fossili, dovremo affrontare danni valutabili tra il 5 e il 20 per cento del Pil mondiale.

Ma è possibile misurare il valore dei singoli ecosistemi minacciati? Ci ha provato il Teeb (The Economics of Ecosystems and Biodiversity Study) che nell’ottobre scorso ha reso pubblica una ricerca in cui si fa un quadro molto dettagliato dei vantaggi assicurati dai vari habitat a rischio. Ad esempio la barriera corallina è spesso difesa in nome della biodiversità, della ricchezza di specie che ospita. Ma è anche una grande calamita turistica; aiuta a ripopolare i mari e dunque anche le reti da pesca; protegge le coste dalla violenza degli eventi estremi (come è stato reso evidente dal drammatico tsunami del dicembre 2004 in Indonesia che ha colpito con minore violenza le zone meglio preservate). Mettendo assieme tutti questi elementi il Teeb assegna alla barriera corallina un valore che può arrivare a 800 mila euro per ettaro all’anno.

Se invece prendiamo una palude costiera, tra i vantaggi più evidenti troviamo il servizio gratuito di depurazione che l’ecosistema svolge. Dandogli un valore monetario si arriva fino a 215mila euro per ettaro all’anno. Fiumi e laghi, poi, sommano sia i vantaggi in termini turistici che quelli in termini di riserva idrica, con una quotazione che si spinge fino a 8.900 euro per ettaro l’anno.

Infine sono state prese in considerazione le foreste tropicali che svolgono una serie fondamentale di funzioni utili: custodiscono grandi quantità di carbonio aiutando a frenare la crescita dell’effetto serra, sono una banca genetica a cui l’industria farmaceutica attinge a larghe mani, mantengono la frescura in luoghi altrimenti semi aridi. Il loro valore arriva fino a 15mila euro per ettaro l’anno.

"Anche l’Unione europea ha affrontato il tema dei vantaggi legati alla difesa degli equilibri naturali", ricorda Gaetano Benedetto, direttore delle politiche ambientali del Wwf. "Ad esempio è stato calcolato il valore che si perde cementificando e inquinando. Visto che ci vogliono tra i mille e i 10mila anni per ripristinare la fertilità dei primi 30 centimetri di terreno, la perdita della disponibilità di suoli puliti comporta nell’Europa in cui vivono circa 500 milioni di abitanti una tassa pro capite pari a 80 euro". Ed è sempre l’Agenzia europea per l’Ambiente, in uno studio del 2010, a calcolare che nell’Europa a 27 il costo delle inondazioni previste, in assenza di un ripristino della capacità di filtro degli ecosistemi naturali, è pari a 16,9 miliardi di euro l’anno.

L’Unep poi, come è stato ricordato allo Yacht Med Festival di Latina, calcola che i benefici provenienti dagli ecosistemi marini del Mediterraneo valgono più di 10mila euro l’anno per chilometro quadrato. Un patrimonio di cui l’Italia dispone in dose generosa: nel nostro Paese si concentra il 35 per cento di questa ricchezza, 9 miliardi di euro.

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