“Piu’ sani, liberi e intelligenti”

Più che il leibniziano «migliore dei mondi possibili» (ferocemente irriso da Voltaire) quello di Matt Ridley si potrebbe dire il «migliore dei mondi migliorabili». Perché questo zoologo inglese, notissimo e discusso divulgatore scientifico, si definisce un «ottimista con ragione», ribadisce i progressi della scienza e della tecnica e, accantonando i catastrofismi, invita a guardarsi allo […]

Più che il leibniziano «migliore dei mondi possibili» (ferocemente irriso da Voltaire) quello di Matt Ridley si potrebbe dire il «migliore dei mondi migliorabili». Perché questo zoologo inglese, notissimo e discusso divulgatore scientifico, si definisce un «ottimista con ragione», ribadisce i progressi della scienza e della tecnica e, accantonando i catastrofismi, invita a guardarsi allo specchio: «Solo rispetto a sessant’anni fa – afferma – siamo più intelligenti, sani, curati, felici. E liberi». Martedì Ridley sarà a Milano per introdurre Happy Tech, la mostra di arte e scienza alla Triennale Bovisa voluta dalla Fondazione Golinelli e parlando del suo libro L’ottimista razionale (che verrà pubblicato in Italia da Rizzoli) premette: «Il pessimismo dell’intellighentsia ha un suo fascino. Però la verità è che il mondo va sempre meglio».

Certo, siamo più curati e sani. Ma ci sono altri problemi, per esempio quelli ambientali. O le armi sempre più sofisticate. Come essere ottimisti?
«Restiamo ai fatti precisi. Solo nel corso della mia esistenza, dal 1958, la durata della vita media si è allungata del 30 per cento e ciascuno di noi guadagna in media tre volte tanto, parlando di dati corretti con il calcolo dell’inflazione. La prima decade dei Duemila è stata quella con il minor numero di vittime di guerra dal 1945. Sembra strano dirlo, ma non siamo mai stati così educati, sani, equi sul piano dei diritti, poco violenti. Non dico che oggi non ci siano problemi. Dico che siamo molto migliorati».

Crede che questo sia stato possibile grazie a tecnologie sempre più precise?
«Sì, grazie a un progresso tecnico scientifico che toglie tempo al lavoro, lo rende meno faticoso e ci permette di vivere la nostra vita. Quindi di essere felici. Ecco perché credo che sia fondamentale aprirci all’innovazione, non arginare la crescita tecnologica»

In Italia, secondo molti, c’è un problema di mancato ricambio generazionale, specie nella classe dirigente. Crede che questo possa essere un ostacolo?
«L’invecchiamento della popolazione in nazioni come l’Italia è un problema da affrontare con impegno, perché oltre a imporre a una minoranza di lavoratori il mantenimento di una maggioranza di anziani, riduce il tasso di innovazione. La gente di una certa età ha in genere un atteggiamento più conservatore e riluttante nei confronti delle nuove tecnologie e delle idee. Ma il mondo, nel suo complesso, continuerà comunque a produrre nuove idee e queste novità finiranno prima o poi per arrivare agli italiani anche qualora non fossero loro a inventarle».

Che cosa pensa, in generale, della nostra situazione attuale?
«Non conosco a sufficienza la situazione italiana per esprimere un giudizio completo, ma so che tra il 1100 e il 1500 l’Italia era leader mondiale in fatto di capacità di innovazione, creatività e produzione di ricchezza. E con caratteristiche umane non troppo dissimili da quelle degli italiani attuali! E penso di sapere perché. Era frammentata in città-stato con numerosi contatti commerciali con il resto del mondo ed era relativamente più complicato per governanti, preti o ladri appropriarsi della ricchezza creata da inventori e mercanti. Oggi questo scenario è osservabile in India, Cina e Brasile. Potrebbe tornare a verificarsi anche in Italia, in circostanze favorevoli».

Nel suo intervento a Milano lei spiegherà come l’innovazione possa prevenire disastri futuri. Ecco, come?
«Guardiamo il numero di persone che hanno perso la vita nei disastri naturali, come siccità, uragani, tempeste: questa cifra è andata migliorando incessantemente e oggi è più bassa, rispetto al 1920, del 93 per cento. Le sciagure naturali uccidono sempre meno. Grazie a strade e linee telefoniche più sicure, materiali da costruzione migliori, previsioni del tempo più precise, idee. In una parola: grazie all’innovazione»

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Nel suo libro Il gene agile lei propone una sorta di alleanza tra ereditarietà e circostanze ambientali nell’imparare a fare qualcosa. L’ottimismo o, se vogliamo, la capacità di migliorare grazie all’innovazione, si impara?
«Sì, attraverso un prolifico scambio di idee. L’importante è far circolare i pensieri».

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