Personal Factory, dalla Calabria la fabbrica tascabile

«Perché non abolire del tutto la logistica e permettere a chi lavora nel settore edile di prodursi la malta da sé?»

Simbario, Vibo Valentia, Calabria. Francesco Tassone, 33 anni, e il fratello Luigi, 27, hanno un’idea che si chiama Personal Factory. Da quell’intuizione nata in un paesino di un migliaio di abitanti a 800 metri sul livello del mare si trovano in un mercato mondiale, con tre milioni di euro di investimenti in pochi anni. Cos’hanno inventato di così straordinario? La fabbrica tascabile. Lo racconta Riccardo Luna su la Repubblica.

Un nuovo modello produttivo dove una miriade di fabbriche tascabili sono in rete e condividono progetti e formule per fare prodotti migliori. Quali prodotti? Malte. Quelle polveri che usiamo per fare intonaci, rivestimenti e quant’altro. A che serve spedirle in tutto il mondo quando ciascuno può prodursele da solo con i materiali che trova sul posto? L’intuizione di Francesco Tassone, nel 2006, è tutta qui. Allora aveva alle spalle una laurea in ingegneria a Trento e una specializzazione a Valencia, in Spagna, e osservava da tempo le peripezie del padre nella fabbrichetta di prodotti “estremi” per l’edilizia che aveva aperto nel 1982. Estremi, perché la CIT era specializzata in lavori tecnicamente al limite dell’impossibile. “Papà è un inventore, e anche piuttosto spericolato” ricorda il primogenito che pure ha preso le mosse da lì. “A Simbario le strade sono poche e brutte, mio padre perdeva tempo e denaro per gli spostamenti. Allora mi sono detto: perché non abolire del tutto la logistica e permettere a chi lavora nel settore edile di prodursi la malta da sé?”. Decide di costruire il primo prototipo della sua fabbrica tascabile e la chiama Origami, “perché come da un foglio puoi inventare mille figure, così da una piccola macchina puoi farti centinaia di prodotti diversi”. Un robot muratore.

E qui inizia l’avventura. Per finire il prototipo servono dei soldi: Francesco partecipa ad un bando per l’innovazione del governo, ma lo molla a metà strada “perché le condizioni erano impossibili e a quest’ora sarei già fallito”. Allora bussa a tutte le banche della sua regione, ma non riesce a ottenere un solo euro. “Zero di zero”. Allora decide di ipotecarsi un appartamento di famiglia e con quei soldi finisce il prototipo. Si iscrive ad una competizione europea per startup e qui entra in contatto con il mondo dei venture capital. È la svolta: nel 2008 ottiene un milione e 300 mila euro da due di essi.

Da allora per Personal Factory sono stati solo successi e riconoscimenti. Dall’Expo di Shanghai 2010 fino all’aumento di capitale chiuso lo scorso luglio con il coinvolgimento anche del gruppo Intesa San Paolo. Una pietra miliare anche perché in quell’operazione i fratelli Tassone hanno rilevato la fabbrica del papà (“era diventato il nostro primo concorrente, è stato giusto così”). Eppure questa aura di miracolo a Francesco proprio non va giù. Dice per esempio: “Considerare straordinario quello che facciamo è la prova che il sistema è malato. Nel mondo di aziende come questa ce ne sono milioni non c’è nulla di sconvolgente nel lavorare e provare a fare innovazione“. E ancora: “Qui in Italia non ci sono banche né Stato. La domanda che ci stiamo facendo adesso è: cresciamo o restiamo in Calabria?”. Crescere o restare. Questa domanda Tassone se la faceva un anno fa.

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