Perché la scuola italiana è bocciata

Ogni anno, alla vigilia dell’estate, la scuola italiana subisce una pesante bocciatura internazionale. L’indagine dell’Ocse, realizzata attraverso le comparazioni dei sistemi educativi di 23 paesi del mondo, ci vede in fondo alla classifica, superati da paesi non certo super sviluppati come il Cile e il Messico. Il nostro sistema produce risultati modesti, che poi si […]

Ogni anno, alla vigilia dell’estate, la scuola italiana subisce una pesante bocciatura internazionale. L’indagine dell’Ocse, realizzata attraverso le comparazioni dei sistemi educativi di 23 paesi del mondo, ci vede in fondo alla classifica, superati da paesi non certo super sviluppati come il Cile e il Messico. Il nostro sistema produce risultati modesti, che poi si riflettono sul numero dei laureati, con enormi sprechi e altissimi costi. Pensate: ogni studente costa 7mila e 600 euro l’anno, circa il 30 per cento in piu’ rispetto alla media europea. E abbiamo appena 48 diplomati su 100 abitanti di eta’ compresa tra i 25 e i 64 anni, rispetto ai 67 della media Ocse.
Una scuola poco efficace, poco rigorosa. E molto vecchia. Siamo il paese con la piu’ alta percentuale (52 per cento) di insegnanti che superano i 50 anni, mentre appena il 3 per cento del corpo docente e’ formato da trentenni. Ovviamente, l’eta’ incide negativamente sulla formazione e sull’aggiornamento degli insegnanti, ma anche sulla loro autorevolezza, al punto che il 70 per cento dei professori delle scuole medie inferiori si lamenta per la cattiva condotta degli studenti e il 10 per cento denuncia perfino le aggressioni fisiche dei ragazzi nei confronti dei maestri (ricordate la pretestuosa polemica sul 7 in condotta?).

Mentre l’indagine dell’Ocse punisce con la sua pagella il nostro sistema educativo, in Italia arrivano i dati degli exit poll sugli scrutini in corso. E qui si vede finalmente un segnale di maggiore severita’: proiettando i numeri su scala nazionale, infatti, si puo’ prevedere una percentuale del 15,4 per cento dei bocciati tra la prima e la quarta classe delle superiori, mentre il 6 per cento degli studenti non riuscira’ a passare l’esame di maturita’. A questo punto c’e’ da aspettarsi che alla crescita del rigore nei confronti degli alunni, con la fine del lungo ciclo del “tutti promossi”, corrisponda, almeno per par condicio, un analogo esame del lavoro di presidi, direttori scolastici e insegnanti. Su questo punto si gioca la credibilita’ dell’azione di governo del ministro Mariastella Gelmini, che non sembra prigioniera dei soliti veti incrociati. Finora, nella scuola italiana abbiamo visto declinare le parole responsabilita’ e merito, gonfiate di suoni retorici senza che, nei fatti, si riuscisse ad applicarle agli insegnati, protetti dalla lunga rete di un sindacalismo troppo corporativo per essere credibile. Ciascun ministro, appena insediatosi, prometteva l’introduzione di un sistema di valutazione, come esiste in tutti i paesi europei, degli insegnanti e dei loro metodi educativi: poi, al termine del mandato, si arrendeva di fronte alle barricate sindacali, salvo cavarsela con una pilatesca e inutile “sperimentazione”.

C’e’ poco da sperimentare, avverte ancora l’Ocse, che per aumentare le perfomance del sistema educativo italiano suggerisce innanzitutto di misurare i risultati dei professori, oltre che quelli degli alunni. Riuscira’ il ministro Gelmini nell’impresa che ha visto fallire tutti i suoi predecessori? Vedremo. Certo, questa e’ una strada obbligata per uscire dal tunnel degli ultimi posti della classifica Ocse, e anche per dare agli insegnanti piu’ bravi, attraverso semplici e autonome decisioni dei presidi, l’opportunita’ di un aumento degli stipendi oggi troppo bassi anche per il fatto che sono troppo uguali. La scuola della competenza, del merito e della responsabilita’ nasce vincendo questa sfida, e il rigore necessario per realizzarla non puo’ valere soltanto per gli alunni ma deve applicarsi innanzitutto ai docenti e al loro modo di lavorare.

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