Perchè la crisi può migliorare il futuro. Dimunendo gli sprechi.

Come siamo arrivati fino a questo punto? Sembrava che il mondo stesse procedendo per il verso giusto; pareva che la liberta’ politica e l’ iniziativa individuale potessero sbocciare negli angoli piu’ reconditi della Terra; la poverta’ iniziava a ridursi in Asia e in America Latina; la crescita economica del pianeta era la piu’ rapida della […]

Come siamo arrivati fino a questo punto? Sembrava che il mondo stesse procedendo per il verso giusto; pareva che la liberta’ politica e l’ iniziativa individuale potessero sbocciare negli angoli piu’ reconditi della Terra; la poverta’ iniziava a ridursi in Asia e in America Latina; la crescita economica del pianeta era la piu’ rapida della storia e tutto lasciava presagire che sarebbe continuata per molti decenni, grazie a un forte aumento demografico, alla presenza di un abbondante risparmio e ai progressi tecnologici straordinari che permettevano inoltre di riorientarla verso uno sviluppo piu’ duraturo. Ed ecco che, improvvisamente, siamo all’ alba di una depressione planetaria, la piu’ grave da ottant’ anni a questa parte. (…) L’ umanita’ ha sempre attraversato crisi religiose, morali, politiche ed economiche. Da quando il capitalismo ha preso il potere, la crisi sembra essere una sua condizione naturale. Tuttavia, tutti sentiamo che e’ in atto una grossa crisi, che una grande depressione ci minaccia, come una brutta sorpresa in un mondo pieno di promesse; e ciascuno intuisce che, in una certa maniera, qualcosa di molto profondo, nel nostro modo di vita e nel nostro modo di pensare, sta confusamente cambiando.

A mio avviso, l’ attuale crisi si spiega in modo semplice: se il mercato e’ il migliore meccanismo di ripartizione delle risorse rare, e’ pero’ incapace di creare lo Stato di diritto di cui ha bisogno e la domanda necessaria al totale impiego dei mezzi di produzione. Affinche’ una societa’ di mercato funzioni efficacemente, occorre allo stesso tempo che uno Stato di diritto garantisca il diritto alla proprieta’, imponga il mantenimento della concorrenza, crei una domanda attraverso salari accettabili e commesse pubbliche; cio’ presuppone un intervento politico, possibilmente democratico e non totalitario, nella ripartizione dei redditi e dei patrimoni. Ma non essendo riusciti a imporre questa migliore ripartizione dei redditi, abbiamo visto crescere, da vent’ anni almeno, in particolare negli Stati Uniti, una domanda alimentata dall’ indebitamento dei lavoratori dipendenti, garantito a sua volta dal valore dei beni comprati con questo stesso debito. (…) All’ inizio di settembre del 2008 si passa dall’ economia della fiducia al panico. (…) Il 3 ottobre 2008, il sistema finanziario mondiale sfiora il crollo, in mancanza di liquidita’. Il 13 i governi del G8 annunciano la loro intenzione di fornire alle banche delle risorse che pero’ non hanno. Dopo una formidabile carambola ideologica, banche e assicurazioni americane e inglesi vengono salvate da una sostanziale nazionalizzazione e dalla promessa di denaro pubblico inesistente. Il debito privato diventa un debito pubblico.

Tuttavia, nulla e’ stato risolto: la crisi e’ solo all’ inizio; la recessione e’ gia’ alle porte; la riduzione dei debiti sta accelerando; la depressione incombe. (…) Aleggia la minaccia di due, cinque, se non addirittura dieci anni di depressione: il tempo di ridurre a zero i debiti dei principali paesi occidentali. Questa depressione porterebbe con se’ un crollo dei prezzi che neanche un grande rilancio attraverso massicce spese pubbliche basterebbe a rallentare. La crisi finanziaria mondiale, diventata economica, si trasformerebbe allora in un’ enorme crisi sociale e politica; centinaia di milioni di persone si troverebbero minacciate dalla disoccupazione; il regime politico stesso sarebbe criticato, respinto come incapace di gestire il “golem” dei mercati che avra’ contribuito a creare. Poi arriverebbe, violenta, l’ inflazione. Tutta l’ ideologia delle nostre societa’ individualiste e sleali sarebbe rimessa in discussione. E la democrazia con essa. Se si vuole evitare che la Storia prenda questa piega terribile, bisogna capire che tutto cio’ ha origine nello squilibrio tra il mercato e lo Stato di diritto: tale squilibrio riduce la domanda, la trasferisce sul debito e crea rendite finanziarie poderose, legali, extra-legali, illegali o criminali. Perfettamente coscienti dei rischi che lo sviluppo anarchico dei mercati fa correre al mondo, gli “iniziati” fanno di tutto per massimizzare i loro profitti, come dei ladri che si affrettano ad arraffare piu’ oro possibile dalla cassa di una banca, rischiando il tutto per tutto negli ultimi secondi della rapina, poco prima che arrivi la polizia.

venuto il momento di capire che i contribuenti pagano oggi i bonus dei banchieri che li hanno gettati in una simile situazione. Ma e’ venuto anche il momento di rendersi conto che questa crisi puo’ rappresentare un’ opportunita’ per il mondo intero, un ultimo avviso su tutti i pericoli di una globalizzazione anarchica e sprecona. venuto il momento di convincerci che disponiamo dei mezzi umani, finanziari e tecnologici per far si’ che questa crisi sia soltanto un incidente di percorso; che ne usciremo solo se l’ informazione economica e finanziaria sara’ equamente distribuita e disponibile per tuttie nello stesso momento; se i mercati finanziari, mondiali per natura, saranno regolamentati da uno Stato di diritto planetario; se cesseranno queste finanze-casino’; se il mestiere di banchiere ridiventera’ modesto e noioso, cio’ che non avrebbe mai dovuto smettere di essere; se sara’ compiuto su scala mondiale un reale controllo dei rischi e delle esigenze di liquidita’; se verra’ fatta una revisione dei sistemi di retribuzione, una separazione tra attivita’ dei mercati e attivita’ bancarie e stabilito un obbligo per chi fa correre un rischio ad altri di accollarsi la sua parte; se si sapranno organizzare, su scala mondiale, grandi opere ecologicamente durature, come e’ stato fatto finora in alcuni paesi

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