Marica è sola, con due figli, uno disabile. Non è puntuale, Ikea la licenza e il giudice convalida. Ma può decidere il tribunale?

Qualcosa non quadra nella storia di Marica Ricutti. Non si poteva evitare una causa? Lei non è una sfaticata o una furbetta, tanto che l’azienda l’aveva anche promossa.

MAMMA LICENZIATA DA IKEA

Non tutti i licenziamenti sono uguali.  E non tutti i licenziamenti controversi possono essere risolti da un tribunale. La storia di Marica Ricutti, 39 anni, licenziata da Ikea, di fatto con un provvedimento disciplinare, è arrivata davanti al giudice del lavoro di Milano, e ha visto chiudersi il primo tempo con una sconfitta della lavoratrice. Lei parlava di un provvedimento «discriminatorio», chiedeva il reintegro e il risarcimento del danno, e invece il giudice ha convalidato il licenziamento. Ritenendolo più che motivato per i «comportamenti della lavoratrice che hanno leso il rapporto fiduciario».

LEGGI ANCHE: Donne, in 25mila lasciano il lavoro per un figlio. E in 5,5 milioni rinunciano alla maternità

LA STORIA DI MARICA RICUTTI

Stiamo parlando, per inquadrare la storia, di una donna che ha molti problemi per rispettare gli orari di lavoro, specie in alcuni turni. Marica è separata, ha due figli piccoli, dei quali uno colpito da un’invalidità totale, e non riesce a conciliare sempre al meglio lavoro e famiglia. Ha usufruito dei permessi concessi dalla legge 104 per assistenza a genitori e figli disabili, ha negoziato con l’azienda un minimo di flessibilità negli orari, ma poi tutto è andato a rotoli e siamo arrivati al licenziamento e alla causa.

Proviamo un attimo ad andare oltre il merito del contenzioso, partendo dal presupposto che sia l’azienda sia la lavoratrice abbiano alcune ragioni, e poniamoci solo una domanda: Ma è possibile mai che in un caso del genere si debba arrivare a un licenziamento ed a una causa? Solo il giudice ormai può ricomporre un conflitto tra l’azienda e un singolo dipendente? La strada di una mediazione ragionevole non è stata tagliata troppo presto?

PER APPROFONDIRE: Lavoro domestico, per le donne vale cinque ore al giorno. Ma allora perché non farselo pagare?

MARICA RICUTTI LICENZIAMENTO IKEA

Mi faccio queste domande, perché ho approfondito, anche con un minimo di indagine giornalistica, la storia di Marica. E due cose sono certe. Il suo quadro familiare è molto complicato e compromesso, dunque non c’è un bluff nel suo atteggiamento. In secondo luogo, Marica non è una furbetta della 104, che si aggrappa alle leggi per restare a casa, né una incapace scansafatiche. È brava sul lavoro. Tanto che la stessa Ikea nel 2017 le aveva affidato la qualifica di coordinatrice del reparto Food. Dunque un incarico importante, una responsabilità data a chi la merita, un riconoscimento anche in termini di carriera: tutti motivi in più per convincermi che in un caso del genere non deve essere il tribunale a decidere (ovviamente i legali di Marica hanno già presentato appello), ma la ragionevolezza e il buonsenso delle controparti. Magari ricordandosi, reciprocamente, che nel rispetto delle regole sul lavoro, qui parliamo di una donna, di una persona, di una madre. E non solo di un numero di un organico e di un orario di lavoro.

(Fonte immagine: la Repubblica.it)

COME AIUTARE DAVVERO LE DONNE CHE LAVORANO

  1. Famiglia, in Germania un bonus di 300 euro per i genitori che passano più tempo con i figli
  2. Voucher per la baby sitter, per l’asilo e per la badante: perché convengono?
  3. “Amici dell’allattamento”, negozi e app per aiutare le mamme di Ravenna
  4. Cioccolato e integrazione, la casa Don Puglisi promuove l’emancipazione delle giovani mamme
  5. Congedo parentale, in Italia lo hanno scelto 250mila papà. Ma le mamme sono state 2 milioni
Torna in alto