Le case del dopo terremoto? Non sono antisismiche

Dunque: il terremoto in Umbria ci fu il 26 settembre 1997 e a giugno scorso la signora Maria Antonia Menichelli, oggi 88 anni, ha ricevuto dal sindaco del suo paese, Valtopina, l’allettante proposta, almeno secondo lui, di andare a vivere sotto un tetto delle nuove case popolari, ad «appena» cinque chilometri dal container dove la […]

Dunque: il terremoto in Umbria ci fu il 26 settembre 1997 e a giugno scorso la signora Maria Antonia Menichelli, oggi 88 anni, ha ricevuto dal sindaco del suo paese, Valtopina, l’allettante proposta, almeno secondo lui, di andare a vivere sotto un tetto delle nuove case popolari, ad «appena» cinque chilometri dal container dove la signora Menichelli, da quasi 14 anni, abita. Capito? La signora Menichelli, perciò, ha riso in faccia al sindaco Giuseppe Mariucci e gli ha detto che preferisce ormai restare qui, nella sua Giove, frazione di Valtopina, sotto al monte Faeto, tra i falchi e le volpi, i gigli della Madonna e i nontiscordardime e dove pure, qualche volta, se si è fortunati, può capitare perfino di riconoscere in lontananza l’ululato del lupo.

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IL SEQUESTRO – Ma sì, passerà l’ennesimo Ferragosto nel container. Che c’è di male? È tutto un paradosso, questa storia. Perché in realtà la signora Maria Antonia, insieme a una mezza dozzina di famiglie ancora domiciliate nei prefabbricati di latta, aspetta da anni inutilmente di poter rientrare nella sua vecchia casa danneggiata dal sisma del 26 settembre. Epperò la vecchia casa, anzi tutte le 55 case dell’antico borgo di Giove, dopo più di 10 anni di ristrutturazioni e quasi 5 milioni di euro buttati al vento, sono state sequestrate il primo luglio scorso dalla Guardia di Finanza su ordine del gip di Perugia. Il motivo ha dell’incredibile: le case, secondo l’inchiesta portata avanti dai pm perugini Mario Formisano e Paolo Abbritti, sarebbero state ricostruite in violazione delle normative antisismiche. Una follia, se si considera che stiamo parlando dell’Umbria dove la terra non ha mai smesso di tremare.

UN BORGO FANTASMA – Così, adesso, un recinto di strisce di plastica biancorosse rende Giove un borgo fantasma e nella piazza assolata dove un tempo sbiciclettavano i nipoti dei contadini si sente solo il rumore del vento. Non c’è nessuno, è tutto chiuso, sbarrato il forno dove Maria Antonia e le altre vecchiette andavano a cuocere la «rocciata», il dolce tradizionale, a base di uvetta, miele, anice e cannella, per il pranzo della domenica. Langue la chiesa di San Giuseppe e dormono pure le storiche fontane, dove un tempo si lavavano i panni e si abbeveravano gli animali e che in futuro invece, secondo un assurdo progetto, dovrebbero lasciare il posto ad un parcheggio. Ecco, almeno questo affronto è stato evitato…

IL COMITATO – Con tali premesse, a Giove è nato un comitato che ha già raggiunto oltre 2 mila adesioni su Facebook. L’ha ideato una giovane donna, Valentina Armillei, è lei la pasionaria della Valtopina che combatte da anni per riavere le case del borgo, dopo aver denunciato a colpi di carta bollata le mille stranezze della ricostruzione. «Nonostante i miei esposti nessuno mi ha mai querelato, ci sarà un motivo no? – esordisce spavalda -. Il motivo è semplice: avevo ragione! E finalmente due pm in gamba hanno voluto vedere quello che c’era sotto. Tanti soldi pubblici buttati in cambio di lavori fatti male. Un vero scandalo».

L’INCHIESTA – Falso in atto pubblico, truffa allo Stato, frode in pubbliche forniture e violazione delle disposizioni normative previste per l’edificazione in zona sismica: sono queste le contestazioni che i pm muovono ai due indagati, il direttore dei lavori del cantiere («Non ho nulla da dire», taglia corto al telefono) e il legale rappresentante della ditta. Nella perizia eseguita per conto della Procura dal professor Bernardino Chiaia – docente di Scienze delle costruzioni del Politecnico di Torino – e dall’architetto Cristina Zannini, vengono evidenziate «rilevanti criticità». Alcuni esempi? «Probabile mancata realizzazione della parete di intonaco armato su alcuni muri ove essa era stata prevista in progetto», scrivono i periti. E ancora: «Assenza o totale inefficacia di alcuni interventi di miglioramento, in particolare dell’intervento di iniezione nelle murature ai piani terra». L’avvocato perugino Giuseppe Innamorati, che difende la ditta incriminata, la Novatecno, ha già presentato istanza di dissequestro: «Attenzione – dice – Qui stiamo parlando di un’impresa che è subentrata nei lavori solo nel 2006, dopo che un’altra ditta era fallita. E dal 2006 il mio cliente si è strettamente attenuto al nuovo progetto che ha avuto l’incarico di eseguire. Le mancate iniezioni di malta cementizia probabilmente appartengono al periodo precedente. Sono magagne pregresse di cui è ingiusto incolparci. Produrremo, comunque, una consulenza dettagliata per dimostrare l’idoneità statica e antisismica delle case di Giove».

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IL DOPPIO CONTAINER – Valentina Armillei, però, resta scettica. Lei un altro tetto in questi 14 anni se l’è trovato, come pure gran parte dei suoi compaesani, ma ha scelto lo stesso di continuare a battersi per Maria Antonia Menichelli, Oriana Galli e pochi altri, quasi tutti anziani contadini, che vivono ancora nella latta, d’estate e d’inverno, a pochi metri dal borgo sequestrato. Nel ’97 dopo il terremoto i residenti qui erano 75 sistemati in 40 box, ora saranno in tutto una ventina e allevano polli e conigli nei tanti prefabbricati rimasti vuoti: «Voi avete le seconde case, noi il doppio container», scherza Oriana. Ma c’è poco da ridere.

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