La giustizia in tilt: nove milioni di cause, e quattro anni per recuperare un credito

Adesso che le nuove norme sul processo breve sono state approvate alla Camera, proviamo a fare il punto sulla macchina della Giustizia in Italia, ingolfata e incerta dal punto di vista dei risultati. Un enorme spreco di risorse umane non basta a fare uscire il Paese dalla nebbia del’incertezza della pena, dei reati, del giusto […]

Adesso che le nuove norme sul processo breve sono state approvate alla Camera, proviamo a fare il punto sulla macchina della Giustizia in Italia, ingolfata e incerta dal punto di vista dei risultati. Un enorme spreco di risorse umane non basta a fare uscire il Paese dalla nebbia del’incertezza della pena, dei reati, del giusto processo. E innanzitutto di una sentenza che faccia giustizia.

Partiamo dal settore penale, dove ogni anno si aprono oltre 3 milioni di nuovi fascicoli, che vengono affidati a 2.103 sostituti procuratori e 2.481 giudici. La produttività dei magistrati non è bassa, anche se la categoria continua a godere di enormi privilegi, come le lunghe vacanze nel corso dell’anno, ma i tempi del processo penale devono fare i conti con uno spaventoso arretrato di 3,29 milioni di cause pendenti. E mentre, specie nelle regioni meridionali, esistono procure di frontiera, impegnate nella lotta contro la criminalità organizzata, del tutto sguarnite per mancanza di personale, ci consentiamo il lusso di tenere in piedi 88 tribunali minori con meno di 20 magistrati ciascuno che invece andrebbero chiusi e accorpati con quelli più grandi.

Inoltre, mentre il Parlamento è stato chiamato per bene 10 volte a discutere di iniziative legislative in qualche modo legate ai processi in corso contro Silvio Berlusconi, i fondi pubblici per la giustizia hanno toccato il minimo storico dal 2000, con una percentuale pari ad appena l’1,35 per cento del bilancio statale. Ricapitolando: la valanga di fascicoli aperti non garantisce la certezza del diritto in ambito penale (non a caso aumentano le prescrizioni), le risorse finanziarie scarseggiano, e gli sprechi non vengono arginati. Può mai funzionare una giustizia in queste condizioni?

Il quadro diventa ancora più desolante se passiamo al settore civile. Qui i procedimenti pendenti sono quasi sei milioni, uno per ogni dieci cittadini italiani, e soltanto nella città di Napoli si contano 210mila cause bloccate. Per recuperare un credito, un qualsiasi credito, in Italia non passano meno di 1250 giorni, circa quattro anni. In Francia bastano dieci mesi. Per avere una sentenza di primo grado nel civile bisogna mettersi l’anima in pace e aspettare, se la causa procede a buon ritmo, quasi due anni. Poi arrivano l’appello e il giudizio della Cassazione.  Gli effetti di questa cronica attività giudiziaria a passo di lumaca si fanno sentire in tutte le attività economiche e sociali. Chi è dalla parte della ragione ha il terrore dei tempi del tribunale, chi invece commette un reato preferisce rischiare anche perché conta proprio sulla lentezza della pratica. Insomma, come dice il consigliere di Cassazione Piercamillo Davigo, in Italia è più conveniente non saldare un debito e resistere in tribunale. E ingolfare la giustizia per non farla funzionare.

 

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