La crociata della libera droga di politici e star

Droga libera. In particolare la cannabis. Anticipando di un giorno i contenuti del rapporto della Global Commission on Drug Policy presentato ieri a New York dall’ex presidente brasiliano Enrique Cardoso, un gruppo di intellettuali, politici, avvocati e attori inglesi – guidati dal premio Oscar Judi Dench – ha inviato una lettera al primo ministro David […]

Droga libera. In particolare la cannabis. Anticipando di un giorno i contenuti del rapporto della Global Commission on Drug Policy presentato ieri a New York dall’ex presidente brasiliano Enrique Cardoso, un gruppo di intellettuali, politici, avvocati e attori inglesi – guidati dal premio Oscar Judi Dench – ha inviato una lettera al primo ministro David Cameron per chiedere la legalizzazione di una serie di sostanze, a partire dalla cannabis, e soprattutto la depenalizzazione del reato di detenzione illegale di stupefacenti. «Si può mandare in galera una persona solo perché si fa una canna?». Vecchio dibattito. Questa volta arricchito da un evidente sostegno alla necessità di una svolta radicale da parte di vip transnazionali, dal premio Nobel per la letteratura Mario Vargas Llosa all’ex segretario dell’Onu Kofi Annan.

A Londra, sprigionando il suo eterno carisma da mito popolare, il sessantenne Gordon Matthew Thomas Sumner, cantante, bassista, attivista e filantropo noto nel pianeta come Sting, firmando la lettera per Downing Street assieme al miliardario Richard Branson, ha spiegato convincente: «Sporcare la fedina penale di ragazzi con meno di vent’anni perché fumano marijuana significa fare un danno al Paese. Sono persone che la società rischia di perdere definitivamente. Chi lo prende più a lavorare un giovane che si porta addosso il marchio di drogato?». Ha estratto un documento dell’ufficio nazionale di statistiche secondo cui solo nel 2010, in Gran Bretagna, 80 mila persone sono finite in galera per possesso e consumo di droga. L’intero stadio di Wembley riempito per la finale di Champions League. «Un costo sociale assurdo. E soprattutto inutile. E’ arrivata l’ora di usare un po’ più di immaginazione». Brindisi e fotografie.

Anche Francis Wilkinson, Tom Lloyd e Paul Whitehouse, ex ufficiali di Scotland Yard nel Cambridgeshire e nel Sussex, si sono uniti alla campagna con una motivazione chiara: «Le politiche attuali non funzionano. Anzi, hanno consegnato maggiore potere nelle mani dei signori della droga. La detenzione di sostanze stupefacenti per uso personale non può più essere considerata un reato. La nostra esperienza è lì a provarlo».

Nello stesso momento, dall’altra parte dell’Atlantico, ricordando che solo in Messico la guerra dei narcotrafficanti ha provocato 38 mila morti dal 2006 a oggi, il documento newyorchese citava le esperienze positive di depenalizzazione del Portogallo e dei Paesi Bassi. «Sono modelli da seguire, perché la lotta classica contro la droga ha fallito. E le conseguenze sono state devastanti per gli individui e per il mondo intero. Cinquant’anni dopo la firma della Convenzione dell’Onu e quaranta dopo la guerra lanciata dal presidente americano Richard Nixon, è urgente riformare le politiche nazionali e internazionali». Secondo le Nazioni Unite l’uso di oppiacei è cresciuto del 35% fra il 1998 e il 2000, quello della cocaina del 27% e quello della cannabis dell’8,5%. «E’ ovvio che stiamo sbagliando direzione. Ci sono tracce di inerzia nel comportamento di molto Stati che non possono più essere tollerate».

L’intero pacchetto di questa nuova campagna – lettera di Londra più documento di New York – è stato recapitato tra molte speranze al governo conservatore inglese. Il ministero dell’Interno ha accolto il consiglio di cambiare strada con la stessa simpatia che si prova nei confronti dell’impiegato del gas arrivato a leggere il contatore. E ha chiuso definitivamente il dibattito con un comunicato ufficiale: «Cambiare la legge? Non se ne parla neanche». Inflessibili gendarmi di uno sgangherato ordine costituito o saggi tutori di una società fragile?

Nel cortile curato della sua casa di Liverpool, l’impiegata Mary Gordensky, una donna sovrappeso, con un viso tondo e sopracciglia eccessivamente folte, piantandosi davanti alle telecamere della tv pubblica, ha mostrato la foto di suo figlio Adam. Una vittima della droga? «Una vittima della legge. L’hanno beccato tre volte con un po’ di roba. Aveva diciotto anni. E’ finito dentro. Ma non faceva del male a nessuno. Forse solo a se stesso. Quando è uscito gli hanno chiuso tutte le porte in faccia. Drogato, gli dicevano. Ora ha 27 anni, vive a Miami e guadagna 130 mila dollari l’anno in un ufficio legale. Dovreste vederlo, sembra un Duca». Si infila la foto in tasca lanciando insulti silenziosi attraverso le sue sopracciglia tristi da bulldog. «Non era meglio se restava qui?».

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