Attali: “Così l’Europa rischia la disintegrazione”

L’economista francese parla della Grecia: La sua uscita non sarebbe la fine dell’euro. L’Italia? La scommessa di Matteo Renzi si chiama modernizzazione del paese.

JACQUES ATTALI –

«Non bisogna drammatizzare il voto in Spagna, è il segnale di una protesta che riguarda innanzitutto il governo locale e il disagio della popolazione di fronte a una crisi economica la cui fine è ancora molto lontana»: l’economista Jacques Attali, già consigliere di Francois Mitterand e di Nicolas Sarkozy, prova a fare il punto sulla fragilità dell’Europa dopo le elezioni politiche in Gran Bretagna e le amministrative in Spagna.

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Ovunque sale l’onda populista, e modifica in modo sostanziale il vecchio quadro politico

«In momenti come questi funzionano le semplificazioni, come quelle della destra radicale, gli slogan che toccano la pancia degli elettori. È facile dire “Non paghiamo i debiti”, oppure “Via gli stranieri e Fuori dall’euro”: ma non basta neanche condannare questa forma di propaganda. Servono risposte concrete ed efficaci».

L’uscita della Grecia dall’euro è diventata più probabile?

«Le probabilità aumentano perché la richiesta del governo greco di non rispettare gli impegni, con  un programma, e ripagare il debito, è semplicemente irricevibile. Sarebbe un precedente disastroso, al quale domani potrebbero appellarsi il Portogallo, l’Italia e la stessa Spagna, specie dopo il risultato di ieri».

E può esserci un euro senza la Grecia?

«Assolutamente sì. Il problema è loro e se continuano così lo sconteranno sulla pelle dei cittadini. Il ritorno a una qualsiasi valuta nazionale, con l’uscita dall’euro, significa un deprezzamento di almeno il 20 per cento. Tutti sarebbero più poveri, e nessuno riuscirebbe a fermare la fuga dei capitali dei ricchi che, come al solito, se la caverebbero».

Quindi l’Europa può stare in piedi senza la Grecia?

«La presenza della Grecia è molto importante, e ciò non va sottovalutato. Ma più per un motivo geopolitico che non per questioni economiche: parliamo di un paese del Mediterraneo, e oggi il presidio di questa zona è fondamentale. Non dimentichiamo che siamo in un periodo di guerra globale, e il Mediterraneo è un luogo strategico del conflitto».

Anche in Polonia hanno vinto i populisti. Eppure si tratta del paese che ha avuto i maggiori vantaggi dall’integrazione, riuscendo a spendere al meglio i fondi europei.

«C’è una questione sociale che riguarda tutti i cittadini dell’Europa. E dovunque i governi sono deboli, come in Polonia, pagano prezzi altissimi in termini elettorali, anche se magari hanno incassato qualche dividendo dai fondi europei».

In questo scenario se la cava solo la Germania….

«Questo è un effetto ottico, smentito dai fatti. La Germania ha un enorme problema demografico, con una popolazione che invecchia a livelli insostenibili. E la bassa disoccupazione si abbina anche a lavoratori costretti ad accettare salari di cinque euro lordi l’ora. Dal mio punto di vista è la Germania il vero malato d’Europa».

In Gran Bretagna, invece, il governo di Cameron è stato premiato, anche se adesso deve fare i conti con un referendum per decidere se restare in Europa.

«È quello che le dicevo prima: in questo caso gli elettori hanno premiato il buon governo di Cameron. Quanto al referendum, i primi a non avere interesse a uscire dall’Unione sono proprio gli inglesi, e dunque ci penseranno bene prima di farlo».

Insomma: nonostante tutto l’Unione europea è al sicuro.

«L’unica cosa che potrebbe distruggere l’Europa è l’uscita della Germania: un fatto che, secondo me, non avverrà mai. Anche perché nel secolo scorso abbiamo due precedenti del suicido tedesco, nel 1914 e nel 1933, che hanno portato in entrambi i casi a due guerre mondiali».

Il punto è riuscire a riprendere il cammino della crescita e uscire dal tunnel dell’austerity.

«Chi parla ancora di austerity è un folle».

E il piano di investimenti della commissione presieduta da Juncker le sembra credibile?

«Juncker sta facendo un buon lavoro, ma il nodo dell’Europa è politico».

Ovvero un salto in avanti verso l’integrazione?

« È un passaggio indispensabile. Abbiamo bisogno di un modello federalista che ci porti ad avere in comune una serie di cose, a partire dall’esercito per condividere la sicurezza in tutto il Vecchio continente».

E l’Italia come la vede in questo momento?

«La scossa data da Renzi mi sembra molto forte, anche sul piano generazionale. Per l’Italia la parola chiave è una sola: modernizzazione. E su questa parola Renzi si gioca il suo futuro».

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