Il Pulitzer vinto da un sito internet ci dice che il giornalismo sta bene

L’avanzata di Internet e la contemporanea crisi dell’editoria stanno da qualche tempo cambiando i connotati all’informazione tradizionale, soprattutto quella dei giornali cartacei. In America, dove la crisi ha fatto piu’ caduti sul campo che altrove, moltissimi giornalisti che sono cresciuti nelle redazioni dei quotidiani hanno dovuto reinventarsi la carriera dopo un licenziamento. In tanti lo […]

L’avanzata di Internet e la contemporanea crisi dell’editoria stanno da qualche tempo cambiando i connotati all’informazione tradizionale, soprattutto quella dei giornali cartacei. In America, dove la crisi ha fatto piu’ caduti sul campo che altrove, moltissimi giornalisti che sono cresciuti nelle redazioni dei quotidiani hanno dovuto reinventarsi la carriera dopo un licenziamento. In tanti lo hanno fatto, mettendosi al passo con le nuove tecnologie e aprendo blog e siti di informazione che provano a ridisegnare il giornalismo. E’ in quest’ottica che si deve leggere l’assegnazione, per la prima volta nella storia, del premio Pulitzer a un sito internet, ProPublica.org, per un’inchiesta sugli ospedali dopo l’uragano Katrina.

Questo premio pero’ conferma paradossalmente che il giornalismo tradizionale non e’ morto. Lo spiega al Foglio Marco Bardazzi, caporedattore centrale della Stampa e autore insieme con Massimo Gaggi di “L’ultima notizia”, libro uscito per Rizzoli sul futuro del giornalismo: “Paul Steiger, il direttore di ProPublica, e’ al suo diciassettesimo Pulitzer: gli altri sedici li ha vinti da direttore del Wall Street Journal”. Alle spalle di ProPublica c’e’ in effetti una squadra di “vecchi” giornalisti che “ha creato una realta’ nuova con i nuovi strumenti multimediali ma con una base di solido giornalismo tradizionale ? continua Bardazzi ? Non c’entra nulla con il cosiddetto ?citizen journalism’, il giornalismo che puo’ fare chiunque abbia un computer e una connessione internet”. ProPublica non e’ un blog, ma “un servizio serio che fa giornalismo investigativo e lo mette a disposizione”. L’inchiesta vincente e’ infatti stata pubblicata anche sul New York Times. “Quello che deve cambiare e’ il modello di business”, continua Bardazzi, per il quale occorre sviluppare nuove modalita’ per fare meglio “un mestiere antico con strumenti nuovi”.

L’informazione sta cambiando, questo e’ fuori di dubbio: “ProPublica ha realizzato un’inchiesta scritta e l’ha affiancata a video, foto, grafici interattivi, cosi’ rispondendo all’esigenza sempre piu’ forte dei lettori di vedersi raccontare la realta’ servendosi di media diversi”. Questo Pulitzer indica che c’e’ stato un cambio di paradigma, piu’ che una rivoluzione vera e propria. “I giornali tradizionali sopravviveranno ? dice Bardazzi ? dovranno potenziare ancora la parte digitale. Non basta piu’ il taccuino degli appunti per fare un’intervista: il modello vincente di informazione vuole che ci siano anche immagini, audio, link”. Nessun terremoto, insomma: “Questo e’ un periodo in cui nel giornalismo, come nel mercato automobilistico, vanno gli ibridi: non sapendo che cosa vorra’ il mercato, ci si prepara a tutto”. I giudici del Pulitzer potrebbero avere voluto indicare un modello vincente con questo premio? “Non credo ci sara’ un modello vincente ? conclude Bardazzi ? Bisognera’ imparare a essere flessibili il giusto per saltare da una piattaforma all’altra”.

In tal senso sono confortanti i dati sulle vendite dell’iPad e l’annuncio del lancio di altri tablet simili, accanto allo sviluppo di social network come Twitter e Facebook, in molti casi diventati fonti primarie per raccogliere informazioni. Rimane pero’ in parte irrisolta la questione dei fondi. ProPublica si regge grazie ai soldi di due benefattori californiani, ma quasi nessun giornale puo’ piu’ permettersi grandi spese. La salvezza sembra venire ancora una volta da Internet, stando a quanto affermato ieri dall’amministratore delegato di Google, Eric Schmidt: “Le cose andranno meglio ? ha detto al raduno degli editori americani ? I giornali torneranno a fare soldi come un tempo, ma questa volta grazie alla pubblicita’ on line e a nuove forme di abbonamento. Abbiamo un problema di modelli di business, non abbiamo un problema di notizie”.

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