Fuga dei cervelli: e se qualcuno tornasse? Magari per occuparsi dell’Italia…

Si colgono i primi, concreti segnali dell’onda di ritorno dei cervelli. O comunque si percepisce la necessità, l’obbligo, di invertire in qualche modo una tendenza che ha segnato il punto più alto, e più critico, del declino italiano

FUGA DEI CERVELLI – L’Italia che vive altrove, in fuga dai nostri guai, e innanzitutto dalla mancanza di opportunità e di futuro, è un popolo, quasi una nazione, cresciuto a ritmi impressionanti. Stiamo parlando di circa sei milioni di cittadini, dei quali 4 milioni e 500mila sono ufficialmente registrati all’Anagrafe della popolazione italiana residente all’estero (Aire). Dentro c’è di tutto. A partire dai ragazzi che studiano all’estero per restarci, e dai 5mila laureati, con i voti più alti, che ogni anno appena usciti dall’università lasciano l’Italia e trovano un posto, retribuito e con buone prospettive di carriera, in qualsiasi angolo del mondo globale. Nell’ordine: Regno Unito, Francia, Germania, Svizzera, Stati Uniti, ma anche Cina e Brasile. E se partisse l’onda di ritorno? Sarebbe la più autentica e la più utile delle riforme che possiamo immaginare: uno spicchio di italiani che dopo la fuga all’estero decidono di tornare nel loro Paese e scommettono, in prima persona, sul cambiamento, sul sogno che abbiamo smarrito da almeno trent’anni.

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LO SPRECO DEI LAUREATI – Un esodo di potenziale classe dirigente, uno spreco assoluto e una perdita secca di capitale umano, un impoverimento del Paese, parallelo, e quasi speculare, a una crescita economica ormai bloccata da anni ed a una gerontocrazia che ha blindato, in tutti i settori, le leve del potere. Un esempio della giovane Italia ormai altrove? Un quarto dei laureati alla Bocconi di Milano, nel 2013, sono già al lavoro a Londra, Parigi, Shangai e New York: erano il 15 per cento quattro anni fa.

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Un epicentro di questa migrazione di massa e di élite è proprio la capitale inglese, dove come racconta Caterina Soffici in un libro che consiglio di leggere per la sua attualità e per la sua forza di crudo e ironico racconto (Italia yes, Italia no. Edizioni Feltrinelli), soltanto nell’ultimo biennio sono arrivati 250mila italiani. «La borghesia italiana ha dato forfait, e le scuole e le università inglesi si sono riempite di italiani» scrive la Soffici. Verissimo. I figli di una borghesia in disarmo, o in eclissi, dividono stanze e appartamenti nei quartieri più italianizzati di Londra, da South Kensington a Chelsea, macinano esami, e si godono la dolce vita durante gli euforici fine settimana di una capitale con l’adrenalina sempre a mille. Non hanno il tempo di finire uno stage e già arriva un’offerta di lavoro, coltivano ambizioni cosmopolite e non vivono alcun complesso del giovane emigrante, ma semmai dell’Italia, come l’establishment anglosassone, apprezzano il mare, le vacanze, i luoghi del Bello, e di quel clima che non ha il grigio e la pioggia deprimenti di Londra.

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L’ONDA DI RITORNO – Eppure, basta spostare di qualche centimetro il punto di osservazione dell’esodo, di una classe dirigente emigrata in blocco, e si colgono i primi, concreti segnali dell’onda di ritorno. O comunque si percepisce la necessità, l’obbligo, di invertire in qualche modo una tendenza che ha segnato il punto più alto, e più critico, del declino italiano. Innanzitutto inizia a pesare il costo, in termini di portafoglio, della fuga. Londra, per restare a uno degli epicentri del fenomeno, è una metropoli sempre più classista, una città per ricchi, non a caso occupata, nei suoi quartieri più lussuosi, dagli oligarchi russi con relativa prole. Una capitale dove i londinesi doc si sentono smarriti e schiacciati dai costi stratosferici delle case, della spesa, della vita in generale, di una corsa in metropolitana che si paga quasi 3 euro. Inoltre, la competizione sul lavoro, specie nella fascia alta colpita al cuore dalla crisi finanziaria, si è fatta durissima, snervante, e perfino nelle tribù dei giovani emigrati più talentuosi, con le migliori prospettive di carriera, ormai serpeggia una domanda: ne vale davvero la pena?

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SCOMMETTERE SULL’ITALIA – Un terzo fattore che spinge verso l’inversione di tendenza riguarda la possibilità di poter tornare a scommettere sull’Italia, anche per non rinunciare a una qualità della vita, che a parte i problemi del sistema Paese, resta imbattibile. Un gruppo di ragazzi milanesi, tutti trentenni, tutti emigranti di ritorno, tutti con lauree e master in Inghilterra e in America, ha appena creato uno sportello web, Greenjob.it, che aiuta a trovare lavoro nell’universo di un settore, l’economia green, dove sono programmate il 38 per cento delle assunzioni nell’industria e nei servizi per il periodo 2014-2015. Loro ci credono nell’Italia che cambia, o comunque esce dal tunnel. Come ci crede, nel profondo Sud, Sandra Savaglio, ragazza copertina di Time nel 2004 come simbolo dell’emigrazione dei cervelli, appena rientrata dalla Germania dopo avere accettato una cattedra in Astrofisica, con chiamata diretta, presso l’Università della Calabria, precisamente nella piccola frazione di Arcavacata, in provincia di Cosenza. Sono due storie, e ne potrei raccontare decine, centinaia, perché, come spesso avviene in Italia, i cambiamenti veri sono sottotraccia e soltanto dopo vengono rilevati dalle statistiche.

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SCOSSA GENERAZIONALE – nfine, l’onda di ritorno si alimenta e si alimenterà grazie alla scossa generazionale maturata nel campo fino a ieri più ingessato, e più degradato, della nostra classe dirigente: la politica. Un ragazzo di 39 anni, Matteo Renzi, che conquista prima il partito e poi il governo non può non aprire una pista per tanti che come lui ci vogliono provare, anche rischiando di rompersi l’osso del collo. Tanti, o qualcuno, che magari abbia voglia di occuparsi dell’Italia, di avere un ruolo nella vita pubblica, di coltivare una religione civile, un amore per il proprio Paese: quello che fanno e sentono i ragazzi inglesi, americani, tedeschi, non costretti alla fuga dalle rispettive nazioni di origine.

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E qui il gioco si farà duro, perché i giovani italiani emigranti di ritorno, in tutti i campi, inizieranno a regolare i conti, innanzitutto con i loro genitori che li hanno spinti all’emigrazione di massa per godersi indisturbati, in Italia, solide pensioni , i privilegi degli inclusi e i piaceri del Belpaese. A quel punto, avremo una nuova puntata del conflitto generazionale, ma questa volta a vincere potrebbero essere i figli, e non i padri. A colpi di spallate, proprio come ha fatto Matteo Renzi.

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