Nozze e adozioni gay: gli italiani dicono no. Sì invece alle unioni civili e alle nuove famiglie

Un sondaggio di IPR Marketing ci racconta un paese molto diverso da quello descritto dai giornali. I matrimoni tra omosessuali non convincono, mentre alla Chiesa si chiede una maggiore apertura.

FAMIGLIA GAY IN ITALIA –

È la rivincita della famiglia tradizionale. Il termometro di una società evoluta e secolarizzata, pronta a non vivere la religione in modo confessionale, ma altrettanto decisa a difendere i  valori secolari, genetici, del suo impianto. Il sondaggio IPR Marketing per Il Mattino ci consegna la mappa di un paese dove, ancora una volta, sembra consumarsi il divorzio tra la politica e la società reale. E non su temi economici, come le tasse o la burocrazia, né su questioni legate alla nuova emergenza dell’immigrazione, ma sui connotati di fondo che riguardano gli stili di vita e innanzitutto i paradigmi di riferimento quando si parla di coppie etero e omosessuali, unite da un vincolo religioso o solo da un legame di civile convivenza.

LEGGI ANCHE: Matrimoni e adozioni gay, la legge può risolvere tutto?

Alt ai matrimoni gay. Il primo dato che sorprende è il giudizio nettamente contrario ai matrimoni omosessuali, con il 55 per cento degli italiani schierati sul fronte del no, che diventano il 67 per cento nel caso dei cattolici praticanti e un rotondo 42 per cento per i non cattolici. La percezione che si ricava da questo giudizio è la scollatura tra il paese reale e l’Italia rappresentata dai media: a leggere i giornali ed a guardare i programmi televisivi, sembrerebbe infatti che la stragrande maggioranza dei cittadini ormai non faccia più differenza tra il matrimonio tradizionale, un uomo e una donna, e quello tra gay. Invece è vero esattamente il contrario, con una forte affermazione, direi perfino identitaria, della famiglia nella sua struttura tradizionale.

Maggiori aperture ci sono per le unioni civili di coppie etero (74 per cento di favorevoli) e per il riconoscimento delle unioni civili delle coppie omosessuali (46 per cento di sì). Che cosa significano questi dati? Semplicemente che sono cadute le barriere e le discriminazioni, un tempo molto pesanti, rispetto alle scelte sessuali delle persone ed ai loro eventuali desideri di unione. Purché sia chiaro l’ambito di questa relazione che in ogni caso, dicono la maggioranza degli italiani, non va confusa con il matrimonio e con i relativi diritti-doveri che comporta.

Che cosa riconoscere nelle unioni civili etero e in quelle omosessuali.  Qui il sondaggio di IPR Marketing, in coerenza con i dati sui matrimoni, riconosce diversi diritti alle unioni civili, a stragrande maggioranza: dalla possibilità di assistere il partner convivente  in caso di ricovero ospedaliero (82 per cento di sì) all’essere considerati eredi naturali pro-quota (76 per cento di favorevoli), fino all’equiparazione per l’accesso alle agevolazioni (59 per cento), alla reversibilità della pensione del convivente (55 per cento) e anche all’ipotesi di adozione di bambini (50 per cento). Ma il quadro si rovescia quando si parla di applicare questi stessi diritti anche nel caso di unioni civili tra omosessuali. E nel sentimento degli italiani appaiono alcune, chiare e forti distinzioni. Mentre, infatti, è largamente riconosciuto e condiviso il diritto a stare al fianco del proprio partner in un momento doloroso come appunto un ricovero ospedaliero (72 per cento dei favorevoli) oppure ad ottenere una parte dell’eventuale eredità (55 per cento di sì), altri presunti diritti sul tavolo della discussione pubblica su questi temi, vengono decisamente negati. E tra questi due in particolare: la reversibilità delle pensione del convivente (con il 68 per cento dei contrari) e ancora di più la possibilità di adottare bambini (il fronte del no arriva all’85 per cento del campione).

I limiti sulla sessualità.  Di fronte alla possibilità, oggi riconosciuta con un’abbondanza di declinazioni dalla scienza, di scegliere, e in qualche modo autodeterminare la propria sessualità, gli italiani si dividono. Una maggioranza (il 50 per cento) si mostra contraria a questa ipotesi, riconoscendo che la natura ci ha separato  tra maschi e femmine;  una minoranza (il 42 per cento) invece è favorevole al riconoscimento del diritto a scegliere liberamente il proprio sesso, anche variandolo rispetto alla nascita, e questa quota sale notevolmente (66 per cento) tra i non cattolici; una piccola parte di cittadini ( 8 per cento) è senza opinione.

Il mutamento della famiglia. La stragrande maggioranza del campione interpellato da IPG Marketing (il 77 per cento) è consapevole, e non ha nulla da obiettare, dell’evoluzione degli stili di vita, e riconosce che con il divorzio è cambiata in modo definitivo la stessa tipologia delle famiglie. Soltanto una ristretta minoranza (il 20 per cento) resta dell’idea che sarebbe meglio tornare alla famiglia tradizionale, ovvero l’uomo e la donna sposati con un vincolo civile e religioso. Allo stesso tempo il sentimento e la sua intensità, ovvero l’amore, prevale come parametro di riferimento  per definire una famiglia. Per il 60 per cento dei cittadini l’importante è essere una coppia, mentre è indifferente il fatto se poi si è sposati o meno, e appena il 35 per cento considera solo le coppie sposate in grado di rappresentare l’unità familiare.

La Chiesa rispetto alla sessualità e alla famiglia. Chi ancora immagina, o descrive, un’Italia confessionale e sugli attenti di fronte alle gerarchie ecclesiastiche, dovrebbe leggere con attenzione le tabelle del sondaggio dedicate al rapporto tra la Chiesa, gli omosessuali e i divorziati. Nel primo caso la richiesta è forte: la Chiesa deve accoglierli come persone normali e non come persone che peccano (64 per cento), anche tra i cattolici praticanti (57 per cento) e soltanto una minoranza (22 per cento) ritiene che sia meglio escluderli dalla comunità dei fedeli. Ancora più netta la domanda che riguarda i divorziati: devono essere ammessi alla comunione e all’eventuale secondo matrimonio con rito religioso (per il 67 per cento degli italiani, 60 per cento tra i praticanti) e appena il 20 per cento continua a negare questo diritto.

PER APPROFONDIRE: Adozioni internazionali, tutto quello che c’è da sapere

Torna in alto