Expo Shanghai, regno dei Signori degli appalti

La partecipazione all’Expo universale di Shanghai 2010 è costata, in denaro pubblico, tra i 40 e i 60 milioni di euro. E di questi, tra i 12 e i 15 (manca ancora un bilancio pubblico ufficiale), sono stati spesi per la costruzione del nostro Padiglione, un prisma in "cemento trasparente" alto 18 metri a copertura […]

La partecipazione all’Expo universale di Shanghai 2010 è costata, in denaro pubblico, tra i 40 e i 60 milioni di euro. E di questi, tra i 12 e i 15 (manca ancora un bilancio pubblico ufficiale), sono stati spesi per la costruzione del nostro Padiglione, un prisma in "cemento trasparente" alto 18 metri a copertura di un’area di 3 mila e 600 metri quadri. "Un successo di visitatori e di critica", si sono compiaciuti i responsabili della manifestazione. Il "migliore biglietto da visita per Milano 2015". È così? Oggi, a un mese dalla chiusura dell’Expo, il nostro Padiglione è pronto per essere donato alla municipalità di Shanghai, che ha intenzione di trasformarlo in un centro commerciale. A differenza degli altri 144 padiglioni, il "prisma" non può essere infatti smantellato e diventerà una "vetrina del made in Italy". Anche perché paiono evaporati gli annunciati "ventitré privati" che avrebbero dovuto animare un’asta per il suo acquisto. C’è di più: documenti riservati e testimonianze raccolti da "Repubblica" tra l’Italia e la Cina, svelano ora che qualcosa di questa nostra avventura non è andata per il verso giusto. Cosa?

LE IMPRONTE DEL "SISTEMA"

La nostra missione in Cina ha un timoniere: Beniamino Quintieri, economista di origini calabresi, docente universitario, Cavaliere di Gran Croce della Repubblica, già presidente dell’Ice dal 2001 al 2005, con il primo governo Berlusconi. Le chiavi dell’Expo di Shanghai, organizzazione e cassa, gli vengono consegnate nell’agosto 2007 dal governo Prodi, con la nomina a Commissario straordinario. Ma è nel 2008 che il suo lavoro, con il nuovo governo Berlusconi, entra nel vivo. Ed è nel 2008 che a incrociare il sentiero dell’Expo troviamo i nomi di due professionisti che le inchieste delle Procure di Firenze e Perugia sui Grandi Appalti annotano nel cosiddetto "Sistema Balducci". Uno spazio "gelatinoso" che, a Roma, fa perno nella struttura di Palazzo Chigi che governa gli appalti dei Grandi Eventi e che tiene insieme professionisti, funzionari pubblici, gestori dei centri di spesa.

Tra 65 proposte presentate, a vincere il concorso di idee per la progettazione del Padiglione italiano a Shanghai è Giampaolo Imbrighi. L’architetto, come documentano gli atti dell’inchiesta sui Grandi Appalti, ha un solido legame con l’ex presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici Angelo Balducci (arrestato in febbraio per corruzione) ed è stato responsabile del progetto della piscina di Valco San Paolo per i Mondiali di Nuoto di Roma del 2008 (opera mai inaugurata e a tutt’oggi sotto sequestro). Di più: il suo nome è nella lista dei beneficiati dal costruttore Diego Anemone e la sua firma compare nella perizia tecnica che, a Firenze, riconosce alla Btp di Riccardo Fusi, costruttore nella tasca di Denis Verdini (e come lui indagato per corruzione), 34 milioni di euro di indennizzo per l’esclusione dall’appalto della scuola dei Marescialli. Per Shanghai viene nominata responsabile tecnico del progetto un architetto di 26 anni, Valentina Romano, figlia del capo del Cerimoniale del Quirinale. Per altro, non la sola con un cognome importante. Alla comunicazione e agli eventi nel Padiglione, lavora Maria Quintieri, figlia del Commissario straordinario. All’ufficio stampa, Francesco Paravati, genero dell’ex presidente della Regione Calabria, Agazio Loiero.

Sul mar della Cina, l’architetto Imbrighi non è la sola ricorrenza del "Sistema Grandi Eventi". Come documentato dagli atti ufficiali, nella "commissione giudicatrice" che, nel dicembre 2008, sceglie l’impresa di costruzioni che realizzerà il padiglione, siede Raniero Fabrizi, ingegnere, direttore generale presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, coordinatore della Struttura di Missione per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Una "voce" più volte intercettata dal Ros nei conversari di Fabio De Santis (ex provveditore alle opere pubbliche della Toscana, arrestato per corruzione). L’ingegner Fabrizi e la sua commissione aggiudicano, per poco meno di 8 milioni di euro, la commessa per la realizzazione del progetto di Imbrighi all’impresa cinese "Jiangsu Nantong n.3 Construction", che, tuttavia, nel giro di pochi mesi si rivela incapace di realizzare l’opera. Al punto che nella primavera del 2009 il suo contratto viene rescisso (la "Jiangsu" tratterà circa mezzo milione di euro a titolo di avanzamento lavori). In quell’aggiudicazione, qualcosa non funziona. La "Jiangsu" ha prevalso su imprese almeno sulla carta più titolate. Soprattutto, sul colosso "Guandong Group", classificato secondo.
In un carteggio via mail in possesso di "Repubblica", riferendosi alla gara per la costruzione del padiglione, Simone Riva, managing director della società milanese "Eurostands spa", per l’occasione partner "ombra" della "Guandong Group", parla di "farsa all’italiana". Di "irregolarità" che la Commissione giudicatrice ha "vergognosamente" sanato. L’interlocutore cui Riva confida "il proprio schifo", si congratula. "Minchia che culo!!!! – scrive – Ti è capitato un ricorso facile facile. Porti a casa i soldi senza realizzare l’opera. Mito!!!!!". La "Eurostands" non costruirà ma, ora, ha ottimi argomenti con cui battere cassa altrimenti.

L’INGANNO ALLE REGIONI
Alla improvvisa uscita di scena della "Jiangsu", il Commissario straordinario, nella primavera 2009, pone rimedio con un affidamento diretto. Logica e diritto imporrebbero che nella realizzazione del padiglione subentri la "Guandong", seconda in graduatoria. Ma non è così. Il cantiere è affidato alla "Greenland construction", altro colosso cinese delle costruzioni, terzo in graduatoria. "Guandong" e la sua partner italiana Eurostands dovrebbero procedere nel loro "ricorso facile facile". Ma non lo fanno. La società si assicura infatti, nell’autunno del 2009, la polpa dell’Expo: l’allestimento. Con un’offerta di 1 milione e 386 mila euro, vince la gara che le affida la realizzazione di negozio, ristorante, caffetteria, sala vip, uffici e auditorium. E che – si legge nel bando ufficiale – la "obbliga, qualora le venga richiesto, ad eseguire montaggio e smontaggio degli allestimenti degli eventi che verranno realizzati da partner istituzionali e/o privati". La clausola è cruciale nello svelare il meccanismo di "compensazione" che assicura il "risarcimento" alla Eurostands. A partire dal febbraio di quell’anno, come dimostra un documento sottoscritto dal comune di Milano, il Commissario ha infatti cominciato a sottoporre a Regioni e Comuni un "regolamento di partecipazione" all’Expo che individua nel vincitore di una gara ancora da aggiudicare (e che Eurostands vincerà) un "allestitore" non facoltativo, come pure vuole il bando, ma "unico e ufficiale". E a prezzi importanti, se si tiene conto del costo del lavoro in Cina. Dai 200 ai 300 mila euro (di cui 100 per il Commissariato), il prezzo più alto a metro quadro di tutti i padiglioni dell’Expo. Alla tariffa finiscono per sottostare 9 delle 12 Regioni e 2 dei 3 comuni espositori. Per un costo che supera i 3 milioni di euro. Denaro incassato dal Commissariato e quindi girato a Eurostands, al netto di eventuali "utili".

La mossa fa saltare l’accordo che vuole la Fiera di Milano partner strategico e imbarazza i nostri diplomatici che, riservatamente, se ne dissociano con preoccupate e-mail. Si prefigura infatti uno schema in cui il denaro dei contribuenti (quello delle Regioni) paga degli spazi già finanziati dallo Stato e gestiti da un ufficio, quello del Commissario, pagato sempre con fondi pubblici, ma che improvvisamente opera di fatto come intermediario di una società privata: Eurostands, appunto.
Ma la mossa, soprattutto, fa lievitare i costi per le Regioni che, in due casi, decidono di fare da sole. Una è la Toscana. Racconta Silvia Burzagli, vicedirettore di "Toscana Promozione": "A fine del gennaio scorso veniamo a sapere che non avevamo più l’allestitore che era Fiera Milano, ma che ci dovevamo relazionare con il Commissariato, il quale poi ci scrive che avevano un allestitore ufficiale, Eurostands. Ci arriva un preventivo. E i prezzi, sinceramente, sono troppo alti. 230mila euro per tutto l’allestimento, che però non è in linea con quello che vogliamo fare. Allora, guardo i prezzi da capitolato del nostro allestitore, che individuiamo ogni tre anni con gara europea. Il prezzo era di almeno 50 mila euro più basso".

L’UOMO DI BRUNETTA
La Fiera abbandona di fatto l’Expo (ne rimane semplice sponsor) ritirando dall’organizzazione il suo dirigente in Cina, Dario Rota, che, nel silenzio del Commissario, si dimette dall’incarico di direttore del Padiglione italiano nel febbraio 2010, a neppure due mesi dall’inaugurazione. Lo sostituisce un trentaquattrenne, di origini calabresi, Ernesto Miraglia. Ha vissuto fino a quel momento ad Hong Kong, dove è sbarcato con una gioielleria dei genitori della moglie (orafi di Torre del Greco). Di Expo universali e padiglioni, Miraglia non ha alcuna esperienza. Quintieri lo assume con un compenso di 70 mila euro, ma il contratto che lo lega al Commissariato non è né depositato in Italia, né denunciato al nostro Erario. Il Commissario lo stipula infatti con una società, la "Italian Luxury", che fa capo a Miraglia ed è registrata ad Hong Kong, piazza off-shore inserita nella black list dei paradisi fiscali.

Non è il solo strappo alla "forma". Accade che nel nostro Padiglione venga allestita la mostra temporanea "L’Italia degli Innovatori". È un progetto da 1 milione di euro che sta a cuore al ministro dell’Innovazione Renato Brunetta e di cui si occupa personalmente uno dei suoi consulenti, Antonio Cianci. Con qualche buona ragione, perché la società individuata dal Commissario come responsabile di quel progetto è la milanese "Key People", di cui Cianci è stato amministratore per sette anni. Costruzione del padiglione e allestimenti, dunque. Ma c’è una terza gara bandita dal Commissario. Quella della ristorazione. Chi la vincerà?

LA TAVOLA DEI SOLITI NOTI
Con poca sorpresa si impongono Stefano Russo, genero di Gianni Letta, e la famiglia Ottaviani cui appartiene la società di catering "Relais le Jardin". Il bando di appalto per la "ristorazione" nel Padiglione è scritto su misura per l’azienda che, da sempre, fa da asso pigliatutto nelle gare della Protezione Civile di Bertolaso. La "Relais", in Cina, non ha mai cucinato neppure un piatto di spaghetti. Ma c’è da liberarsi della concorrenza di "The Kitchen", storica catena della ristorazione italiana in Asia. E, appunto, ci pensano i requisiti fissati nel bando. Poco importa, poi, che la "Relais" per accendere i fornelli a Shanghai sia costretta ad acquistare le licenze per operare in Cina in fretta e furia dal ristorante "That’s amore" dei fratelli Morano. Anche loro di origini calabresi.

Dettagli. Come la scelta a trattativa diretta dell’impresa di spedizioni che, a cose fatte, si "scopre" non avere le autorizzazioni per l’accesso diretto all’area dell’Expo. O quella dell’agenzia per il servizio di hostess. A costi da capogiro, la spunta "Nexxi", società italo-giapponese che in Cina non ha mai messo piede, ma creata ad hoc dal gruppo "Triumph" di Maria Criscuolo, madrina del figlio di Roberto Ottaviani. L’Ottaviani di "Relais le Jardin", con cui la Triumph divide normalmente la torta degli appalti per i Grandi Eventi. Per sei mesi, nel Paese dove le hostess hanno il costo orario di un caffè, la Triumph riesce a spuntare dal Commissario circa un milione e 200 mila euro.  

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