Effetti sociali della crisi economica: disoccupazione e rischio rivolte popolari

Il governo non è stato capace di dare un segnale forte di rilancio dell'economia. Intanto, si moltiplicano i focolai di proteste incontrollate legate al precariato e alla disoccupazione

Siamo seduti su una polveriera. Gli allarmi sugli effetti sociali della crisi economica si moltiplicano e ieri il governatore della Campania, Stefano Caldoro, ha parlato testualmente di «rivolte popolari in arrivo, a partire da Napoli». Parole pesanti, pronunciate da un uomo politico cauto e responsabile, anche per la carica istituzionale che ricopre. Inquietanti previsioni che arrivano dopo l’allarme lanciato dal ministro e sindaco di Reggio Emilia, Graziano DelrioSiamo al limite della rabbia»), e l’anatema scagliato dal fondatore e ideologo del Movimento Cinque Stelle, Gian Roberto CasaleggioLa crisi economica porterà alla rivolta»).

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Oltre ai toni, fanno riflettere le fonti degli allarmi. Sia Caldoro sia Delrio sono amministratori locali, hanno un rapporto quotidiano con il territorio e ne conoscono gli umori e la temperatura. D’altra parte, se diamo uno sguardo all’area napoletana i focolai di proteste incontrollate sono tanti e riguardano diversi settori del mondo del lavoro. Sono in quotidiana fibrillazione le varie categorie di lavoratori occupati nei pubblici consorzi, figli della cultura dell’assistenzialismo e del precariato a vita, che sentono la terra franare sotto i piedi, con i datori di lavoro sull’orlo del fallimento e senza alcuna prospettiva di riconversione. Sale la febbre delle vertenze nel settore pubblico (dai trasporti alla sanità) e nel privato, dove quel poco che resta di industria manifatturiera in Campania è entrata nella zona a rischio (vedi il caso Indesit).

I posti persi finora nel 2013 sono più di 250mila, come ha annunciato Unioncamere, e tutti gli indicatori relativi all’occupazione sono di segno negativo per i prossimi mesi, mentre una possibile ripresa viene spostata sempre più avanti. Che fare e che cosa aspettarsi in un quadro così fosco? Nessuno pretende miracoli da un governo che pure ha messo il rilancio dell’occupazione al primo posto della sua agenda. Ma dobbiamo riconoscere che l’esecutivo, ad oggi, ha perso troppo tempo in stucchevoli e latenti conflitti sull’Iva e sull’Imu, che non sposteranno di una virgola il mercato del lavoro, e non è stato capace di dare un segnale chiaro e forte di rilancio dell’economia. Tante parole, pochi fatti.

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E speriamo che nessuno si sogni di arginare la crisi sociale con nuovi provvedimenti, compresa la distribuzione di qualche mancia, di natura assistenziale: servono interventi strutturali per affrontare con efficacia e tempestività l’emergenza. Specie al Sud, dove la ricollocazione della manodopera è resa molto più complicata dalla sua scarsa qualificazione. Proprio ieri, leggevo una statistica che arriva dalla Germania, dal cuore dell’Europa: qui più del 50 per cento dei disoccupati trova un nuovo posto in meno di tre mesi e solo il 12 per cento aspetta un anno. Per i lavoratori tedeschi, forniti nel 61 per cento dei casi di un diploma tecnico, la recessione non significa automaticamente il baratro della perdita del lavoro e del reddito. Per noi, dopo il buio di una crisi aziendale c’è solo e sempre un ammortizzatore senza futuro. E l’autunno si avvicina.

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