Ecco come in Sicilia la Casta salva se stessa

Laura Anello  Palermo – Ci sono comici spontanei, involontari, gente che le battute se le vede fiorire in bocca con le parole. «Signori si nasce, e io modestamente lo nacqui», diceva Totò. Qui, all’Assemblea regionale siciliana – il Parlamento più antico del mondo – è in pieno svolgimento una gara di verve. A scatenarla, la […]

Laura Anello 

Palermo –

Ci sono comici spontanei, involontari, gente che le battute se le vede fiorire in bocca con le parole. «Signori si nasce, e io modestamente lo nacqui», diceva Totò. Qui, all’Assemblea regionale siciliana – il Parlamento più antico del mondo – è in pieno svolgimento una gara di verve. A scatenarla, la bocciatura della riduzione del numero degli onorevoli deputati – qui si chiamano così – sugli scranni dell’Assemblea.

La riduzione da 90 a 70 stava nella proposta firmata da Giovanni Barbagallo del Pd, mirata ad allineare l’ampiezza dell’emiciclo a quella delle altri grandi regioni italiane. Ma giammai far perdere all’Isola il primato nazionale del maggior numero di suoi rappresentanti. Signori si nasce, appunto. E qui, soprattutto, da signori si tende a vivere, visto che gli onorevoli siciliani guadagnano 19.400 euro lordi al mese – come i senatori – e sborsano appena 9 euro alla buvette per pagare un pranzo completo, a scelta etnico o tradizionale (l’altra metà la paga l’Assemblea, cioè i cittadini che per quella cifra ingollano al massimo una fetta di pizza e una bibita). Il caffè purtroppo è a parte, e bisogna sborsare la bellezza di 36 centesimi. Meno però che a Palazzo Madama, dove costa 50.

Ma non è certo per questo che otto componenti della commissione Affari istituzionali (tutti, esclusi i tre del Pd), compatti come una falange, hanno detto no alla proposta dopo tre sedute e ammainato in fretta la bandiera dei riformatori. Guai a pensarlo. Raimondo Torregrossa, per esempio, deputato del Pdl, ha fatto sentire alta la sua voce, resa squillante da uno sciroppo di benaltrismo: «Va bene la riduzione – ha detto – ma inserita in un contesto più ampio di riforma dello Statuto». Peccato che la revisione della carta fondativa su cui si regge dal 1947 l’autonomia siciliana è stata appena seppellita per volontà del presidente dell’Assemblea, Francesco Cascio, preoccupato del superlavoro dei componenti della commissione Statuto: sette ore in un anno. Così rinviare il taglio dei costi della politica alla riforma della Carta costituzionale equivale ad appellarsi alla comparsa dell’araba fenice.

E già. Signori si nasce. Ma qui, tra le guglie e i giardini del Palazzo dei Normanni che è sede dell’Assemblea, la questione è anche morire, visto che i rappresentanti del popolo godono pure di un benefit per le spese funerarie, valido anche dopo la scomparsa politica, per quelli cessati dal mandato. Cinquemila euro per esequie come si conviene, con carrozze e legno di pregio. No, non è certo per questo che gli onorevoli vogliono restare in tanti, e chi lo pensa non conosce la magnanimità, la munificenza, la larghezza dei siciliani che non stanno lì a parlare di soldi come Arpagoni qualsiasi. Che ineleganza parlare dei 496.400 euro che ogni anno un deputato siciliano costa alla collettività. Che quisquilia la storia dei 20 milioni e 300 mila euro che – calcolano Enrico del Mercato ed Emanuele Lauria nel libro «La Zavorra» – si risparmierebbero allineando la spesa a quella, per esempio, del Consiglio regionale lombardo. Di fronte a superstipendi e maxibenefit non c’è obbedienza di partito che tenga. Hanno votato contro la riforma sia i rappresentanti dell’Mpa, il movimento autonomista del governatore Raffaele Lombardo – che pure si era espresso a favore del progetto – sia quelli del Pdl che hanno disatteso l’indicazione del presidente Cascio, neo-alfiere della lotta agli sprechi della «casta». Il quale adesso è furibondo con i disobbedienti e intenzionato a inviare lo stesso il provvedimento in aula.

Alla fine, nonostante due anni e mezzo di giravolte politiche e giunte anomale che hanno portato nella stanza dei bottoni il Partito democratico e il Terzo polo (e all’opposizione il Pdl e i cuffariani ex Udc), i vecchi alleati del centrodestra si sono ritrovati di nuovo insieme. Tutti uniti contro la minaccia di perdere il seggio. In nome della sacra autonomia, che qui si scrive con la «A» maiuscola, non si bada a spese. Basti pensare che per festeggiare il sessantesimo anniversario dell’Assemblea, che ricorreva nel 2007, l’allora presidente Gianfranco Miccichè, da bravo ex pubblicitario, volle pure rinnovare lo storico logo del Parlamento, alla modica cifra di 216 mila euro. In tutto, per le celebrazioni, sono stati spesi quattro milioni di euro. Un fiume di denaro che ha bagnato fino al 2010 tutta la Sicilia. L’unica terra al mondo in cui un anniversario può durare quattro anni.

 

 

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