Donne manager italiane, discriminate sul lavoro

Nelle imprese italiane con oltre 10 milioni di euro di fatturato le donne presenti nei consigli di amministrazione rappresentano appena il 14,5 per cento del totale

Aumenta la discriminazione a svantaggio delle donne manager, ai vertici delle società. Fatta la legge, trovato l’inganno: e così le nuove norme sulle quote di genere, entrate in vigore già nel maggio del 2012 per incentivare la carriera femminile, sono puntualmente aggirate dalle aziende. Secondo i dati della Banca d’Italia nelle imprese italiane con oltre 10 milioni di euro di fatturato le donne presenti nei consigli di amministrazione rappresentano appena il 14,5 per cento del totale: erano il 13,7 per cento nel 2008. Di fatto, nessun passo avanti. Ma la situazione peggiora quando bisogna sostituire un consigliere di amministrazione di sesso femminile, perché in questa circostanza nell’85,5 per cento dei casi a una donna subentra un uomo.

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Le discriminazioni uomo-donna sono ancora molto forti, sempre secondo la Banca d’Italia sia all’accesso del mondo del lavoro, sia per quanto riguarda le retribuzioni. Il tasso di occupazione femminile è più basso di quello maschile, toccando il 55,5 per cento al Centro Nord e il 31,4 per cento al Sud. A un anno dalla laurea specialistica, lavora invece il 63 per cento dei maschi contro il 55,5 per cento delle femmine.

E gli stipendi? Al primo gradino di occupazione, dopo la laurea, i ragazzi guadagnano il 32 per cento in più delle loro colleghe, 1.220 euro contro 924 euro, e dopo cinque anni di lavoro il differenziale si assesta attorno a un 30 per cento. Insomma: nonostante la legge, per la donna è sempre più duro trovare un lavoro, fare carriera e guadagnare almeno quanto i colleghi maschi.

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