Decrescita ecco come si fa la rivoluzione culturale

    di  Serge Latouche          http://www.fondfranceschi.it/cogito-ergo-sum La via della decrescita è un’apertura, un invito a trovare un altro mondo possibile. Questo altro mondo noi lo chiamiamo società della decrescita. L’invito è a viverci, qui e ora, e non in un ipotetico futuro che, per quanto desiderabile, forse non vedremo mai. Questo altro mondo dunque sta […]

 

 

di  Serge Latouche          http://www.fondfranceschi.it/cogito-ergo-sum

La via della decrescita è un’apertura, un invito a trovare un altro mondo possibile. Questo altro mondo noi lo chiamiamo società della decrescita. L’invito è a viverci, qui e ora, e non in un ipotetico futuro che, per quanto desiderabile, forse non vedremo mai. Questo altro mondo dunque sta anche in quello in cui viviamo oggi. Sta anche in noi. La via è anche uno sguardo, un altro sguardo sul nostro mondo, un altro sguardo su di noi. (…) 

 

LA COMMON DECENSE 

La via della decrescita è dunque prima di tutto una scelta. (…) È, in ogni caso, una via d’uscita dall’enorme decadenza generata dalla società della crescita. Una via d’uscita per recuperare la stimadi se stessi. È la via per ricostruire una società decente. Una società decente, dice il saggio, è unasocietà che non umilia i suoi membri. È una società che non produce rifiuti. La via della decrescita è anche la common decense di George Orwell. La decenza comune significa avere ritegno, essere attenti, essere capaci di avere vergogna per quello che viene fatto al mondo e alle persone. «Essere svergognati – dice Bernard Stiegler – significa essere diventati incapaci di avere vergogna». La società della crescita è un mondo svergognato, un mondo in cui regna il disprezzo. E il desiderio di sfuggire al disprezzo è una aspirazione universale (forse la sola veramente universale) che si realizza soltanto nelle società decenti. L’assenza di ritegno, la mancanza di attenzione equivalgono all’assenza della decenza comune definita da Orwell. Un mondo decente forse non è un mondo di abbondanza materiale, ma è un mondo senza miserabili e senza brutture. (…)

Quando diciamo che la decrescita è un progetto politico, intendiamo che è anche un’etica, perché per noi, come per Aristotele, la politica non è concepibile senza un’etica, e viceversa, anche se è opportuno non confondere i due piani. Una politica che fosse soltanto un’etica sarebbe impotente o terroristica, ma una politica senza etica (come quella che viviamo soprattutto a partire dalla svolta degli anni novanta, dal grande balzo all’indietro neoliberale) vede il trionfo della banalità del male. (…)La via della decrescita è anche quella dell’emancipazione e della conquista dell’autonomia. È la ricerca della libertà vera e non della sua caricatura, quella dell’edonismo sfrenato e senza regole proposta dalla pubblicità e dal marketing e promossa dal nuovo spirito del capitalismo, falsamente gioioso e di fatto mortifero. (…) La via della decrescita è un’uscita di emergenza dal vicolo ciecodell’immondializzazione. La via della crescita è un esilio.

È la traversata del deserto verso la terra promessa, ma è anche un’oasi nel deserto della crescita. «La rivoluzione – ammonisce Jérôme Baschet – non ha senso se non si concepisce al tempo stesso come una festa, se si priva di quelleoccasioni così importanti come un ballo o uno scoppio di risa… È vano voler combattere l’alienazione in forme alienate… Bisogna ammettere l’impossibilità di condurre una vera lotta per l’umanità senza cominciare a percepire nel processo stesso di questa lotta la verità dell’umanità alla quale si aspira, senza riconoscere il diritto al piacere e la necessità di una poesia che non è altro che il nome dato a un’esistenza veramente degna dell’uomo».(…) La decrescita è un’arte di vivere. Un’arte di vivere bene, in accordo con il mondo. L’obiettore di crescita è anche un artista. Qualcuno per il quale il godimento estetico è una parte importante della sua gioia di vivere. (…) Fare della propria vita un’opera d’arte non è l’obiettivo, ma uno dei risultati. La via della decrescita è un’ascesi. Limitandosi all’aspetto curativo e alla lotta contro la tossicodipendenza da consumismo, si può riprendere l’idea di Ivan Illich del «tecnodigiuno».

La decrescita è un esercizio di emancipazione dalle protesi tecniche, una liberazione dalla servitù volontaria e un allenamento all’autonomia. La via della decrescita è una conversione di se stessi e degli altri. La conversione richiesta per realizzare la trasformazione sociale necessaria e desiderabile presuppone che si crei un atteggiamento di accoglienza e di apertura a questo cambiamento. Questa educazione è, al tempo stesso e indissolubilmente, sapere ed etica, resistenza e dissidenza. (…) La via della decrescita è riconquista della realtà e della terra che ne è il principio. Si tratta di abitare la terra come un territorio, un luogo di complicità e di reciprocità. Di ritrovare la nostra intimità con una dimensione originaria. «Oggi una linea di orizzonte tecnica – scrive in modo ispirato Xavier Bonnaud – separa l’uomo dalla fauna e dalla flora. Questi elementi che l’uomo ha allontanato, indebolito e canalizzato non producono più in lui quelle relazioni affettive profonde che derivavano da un contatto diretto». (…) La via della decrescita è quella della libera critica. È quella dell’autolimitazione e non dello scatenamento senza freni delle passioni tristi. La decrescita vuole riprendere il programma di emancipazione politica della modernità, affrontando le difficoltà che comporta la sua realizzazione. L’esperienza autenticamente democratica instaura un’esperienza di trascendenza dell’uomo nell’uomo che permette di uscire dalle aporie dell’egualitarismo. Come dice il filosofo belga Robert Legros: «Riconoscere una limitazione dei poteri dell’uomo che non sia una autolimitazione, significa chiaramente ammettere una eteronomia al centro dell’autonomia. Interpretare questa limitazione come una norma inscritta nell’umanità dell’uomo, e non come una norma di origine religiosa, significa tentare di cogliere il senso di una eteronomia propriamente democratica».

Se la decrescita e il progetto di costruzione di una società autonoma realizzano il sogno di emancipazione dei Lumi e della modernità, non lo fanno attraverso uno svincolamento dal legame con la natura e dal radicamento nella storia, ma al contrario riconoscendo la doppia eredità della nostra naturalità e della nostra storicità. Bisogna lottare contro l’illimitatezza dell’individuo e del suo rapporto con la natura che abbiamo preteso di creare.La via della decrescita è questa lotta. La via della decrescita è una emancipazione dalla religione della crescita. Richiede dunque necessariamente anche un «decredere». Bisogna abolire la fede nell’economia, rinunciare al rituale del consumo e al culto del denaro. Per i teologi Alex Zanotelli, don Achille Rossi, don Luigi Ciotti e Raimon Panikkar, come per Ivan Illich o Jacques Ellul, la società della crescita poggia su una struttura di peccato. Contrariamente alla formula sventurata dell’enciclica Populorium progressio, lo sviluppo non è il nuovo nome della pace ma quello della guerra, guerra per il petrolio o per le risorse naturali in via di esaurimento. Nella società della crescita non ci sarà mai più né pace né giustizia.

Al contrario, una società della decrescita riporterà al proprio centro la pace e la giustizia. Non si vuole cadere nell’illusione di una mitica società perfetta in cui il male sarebbe sradicato definitivamente, ma inventare una società dinamica che affronta le sue inevitabili imperfezioni e contraddizioni dandosi come orizzonte il bene comune anziché l’avidità sfrenata. La via della decrescita non è una religione né un’antireligione, è una saggezza. Per gli obiettori di crescita la ricerca della via è un dovere, ma non è un imperativo categorico di tipo kantiano, anche se noi facciamo nostro l’imperativo kantiano così come riformulato da Hans Jonas: «Agisci in modo che gli effetti della tua azione siano compatibili con la permanenza di una vita autenticamente umana sulla terra». 

 

 

 

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