Dalle piante alla plastica grazie al biotech

È GRANDE solo un po’ di nanometri, ma promette di far sposare una volta per tutte ecologia e industria della plastica: non si tratta di una mini-bacchetta magica, bensì di una nanoparticella realizzata dall’università di Utrecht, in Olanda, candidata a diventare la colonna portante delle plastiche ecologiche. La sua specialità, infatti, consiste nel trasformare biomasse […]

È GRANDE solo un po’ di nanometri, ma promette di far sposare una volta per tutte ecologia e industria della plastica: non si tratta di una mini-bacchetta magica, bensì di una nanoparticella realizzata dall’università di Utrecht, in Olanda, candidata a diventare la colonna portante delle plastiche ecologiche.

La sua specialità, infatti, consiste nel trasformare biomasse vegetali nelle molecole base della plastica più comune –  etilene, propilene e butadiene. Per capirci, quelle che compongono prodotti tanto diversi quanto giocattoli e bottiglie, cosmetici e detergenti.

La scoperta, pubblicata sull’ultimo numero di Science, va così ad aggiungersi alle altre bioplastiche (che invece sono fatte di composti più complessi e/o caratterizzati da proprietà differenti da quelle derivate dal petrolio) e rende sempre più concreta la possibilità di un futuro industriale indipendente dai combustibili fossili. Un tassello essenziale per la realizzazione della strategia ecosostenibile appena lanciata dalla Commissione Europea.

Per comprendere il processo sviluppato dai ricercatori olandesi bisogna partire dagli anni Venti del secolo scorso, quando Franz Fischer e Hans Tropsch riuscirono a trasformare un mix di gas fatto di monossido di carbonio e idrogeno in combustibili sintetici. Da allora, la chimica ha intravisto la possibilità – estremamente allettante – di generare le molecole base della plastica a

partire dalla combinazione dei due gas, senza mai però riuscire a ottenere un prodotto che fosse in gran parte puro e la cui produzione non costasse troppo.

In particolare, due problemi hanno afflitto i chimici per lungo tempo: da un lato le alte produzioni di metano generate durante il processo; dall’altro, l’osservazione che i catalizzatori utilizzati per ottenere produzioni più pure (di solito a base di ferro) dopo poco tempo smettevano di funzionare a causa di reazioni chimiche indesiderate.

Proprio partendo da queste difficoltà, il gruppo diretto da Krijn de Jong ha iniziato a cercare metodi per aumentare l’efficienza della trasformazione. "Siamo partiti da molecole di ferro perché sappiamo che sono molto efficienti nel catalizzare la trasformazione dei gas in etilene, propilene e butadiene", spiegano gli autori. "Poi, per superare i problemi di instabilità di queste molecole, le abbiamo unite a nanoparticelle non reattive così da renderle molto più resistenti". In particolare, il team di chimici ha osservato le migliori prestazioni quando il ferro era legato a nanofibre di carbonio.

A questo punto, per arrivare alla produzione dei "mattoni" delle plastiche a partire dalle piante, i ricercatori olandesi hanno utilizzato monossido di carbonio e idrogeno generati dalla gassificazione di composti vegetali, ovvero da quel processo che, ad alte temperature e senza combustione, converte i composti vegetali nel mix di gas studiato da Fischer e Tropsch.

A questi gas i ricercatori hanno poi aggiunto il catalizzatore a base di nanoparticelle di ferro: alla fine del processo, oltre il 65% della miscela era stato tramutato in etilene, propilene e butadiene, ossia negli ingredienti fondamentali della plastica. "È un risultato davvero incoraggiante", spiegano gli autori. "Finora non eravamo mai riusciti a ottenere una produzione così efficiente di queste molecole a partire dalla gassificazione delle piante".

Ovviamente ci vorrà del tempo prima di vedere questa scoperta tramutarsi negli oggetti di tutti i giorni. I ricercatori, però, sono convinti che la sua portata sia così vasta da permetterci, un giorno, di sostituire le piante al petrolio nella produzione di qualunque tipo di plastica, un fatto che prima non era neanche lontanamente immaginabile a causa della minore versatilità delle bioplastiche oggi in commercio.

Sebbene, infatti, ne esistano di diverse tipologie e alcune di esse presentino la preziosa capacità di biodegradarsi (come ad esempio i sacchetti ecologici figli della Montedison di Raul Gardina), ognuna è in grado di sostituire solo uno dei tanti composti della plastica che si possono ottenere con le molecole di base. La scoperta del gruppo di Utrecht, invece, colma questo vuoto nella produzione di biomateriali, favorendo così uno scenario in cui dipenderemo sempre meno dalle risorse petrolifere.

Questo risultato farà certo piacere  –  tra gli altri  –  alla Commissione Europea che ha recentemente presentato "L’innovazione per una crescita sostenibile: una bioeconomia per l’Europa", la strategia e il piano d’azione con cui il Vecchio Continente punta a incrementare l’industria verde nel rispetto della biodiversità e della protezione ambientale. Il piano ha infatti l’obiettivo di rafforzare il mercato e la competitività delle bioeconomie, avvicinando politica e investimenti alla realtà ecosostenibile. Il tutto puntando sulla ricerca di nuove tecnologie, le uniche in grado di rafforzare il settore e portarci davvero fuori dalla crisi energetica.

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