Dal dottorato alla pasticceria: la strada italiana per il successo

Una laurea in scienze della comunicazione, due tirocini americani, un dottorato di ricerca in sociologia e poi… pasticceria! È il percorso poco lineare e molto soddisfacente di Camilla Rossi, 29 anni, ravennate, che dopo aver speso anni nell’accademia italiana, completando ogni tappa a pieni voti, ha scelto di riconvertire quanto appreso nella sua grande passione: […]

Una laurea in scienze della comunicazione, due tirocini americani, un dottorato di ricerca in sociologia e poi… pasticceria! È il percorso poco lineare e molto soddisfacente di Camilla Rossi, 29 anni, ravennate, che dopo aver speso anni nell’accademia italiana, completando ogni tappa a pieni voti, ha scelto di riconvertire quanto appreso nella sua grande passione: le torte. «Restare in università ad attendere un avanzamento di carriera che forse non sarebbe mai arrivato non faceva per me», racconta, «e il dottorato in Italia non aiuta a trovare lavoro. Avevo le capacità e avevo un sogno. E così…».

DOTTORATO – Così Camilla mette in discussione quanto istituito dalla legge 28 del 21 febbraio 1980: il dottorato di ricerca, titolo che rappresenta il più alto grado di istruzione previsto nell’ordinamento accademico italiano ed equivale, anche se non ufficialmente al titolo di Ph.D. (Philosophiae Doctor) dei Paesi anglosassoni. La frustrazione di «una strada faticosa, dalla quale non si esce illesi» è talmente nota e comune che la stessa Associazione dottorandi e dottorati italiani risponde nel proprio sito, alla FAQ «Mi consigliate il dottorato di ricerca in Italia o all’estero?»: «La poca serietà di diversi settori dell’accademia, in balia dell’arbitrio baronale, scoraggia facilmente l’aspirante dottorando. Questi farebbe bene a considerare anche la scarsa spendibilità del titolo. (…) Fare il dottorato all’estero vi risparmierà lo scontro con il malcostume universitario ma renderà più arduo il già difficile problema di trovare un’occupazione in Italia». E conclude: «In sintesi, la decisione spetta a voi, l’importante è avere le idee chiare».

IN PASTICCERIA – Di chiarezza d’intenti Camilla non manca. Va a Londra, ospite di un’amica, alla quale confessa di essere rimasta affascinata dal sito di Little Venice Cake Company (Lvcc), leader britannico nel confezionamento di torte monumentali e dolci decorati, fornitori di celebrità come Madonna, Beckham e la famiglia reale. «Per anni avevo combattuto lo stress dello studio passando notti insonni a cucinare dolci», ricorda oggi, «al punto che le mie creazioni erano diventate una presenza fissa alla pausa caffè. Finalmente avevo trovato il posto ideale nel quale spendermi, anche se ero cosciente di non potermi presentare loro così su due piedi». Cominciano lunghi mesi di apprendistato presso una pasticceria londinese («Eravamo otto persone in uno spazio di tre metri per quattro, niente condizionamento, niente tempo libero, tantissimo entusiasmo») prima della presentazione del proprio curriculum ai laboratori desiderati – e del primo no. «Sapevo che sarebbe stato difficile. I tirocini presso la Lvcc sono a numero chiuso e molto esclusivi: accettano tre candidati a trimestre. Ma non riuscivo ad accettare quel rifiuto. Ci ho pensato per dieci giorni prima di ricontattare la responsabile dei corsi e chiederle se potevano mettermi in lista d’attesa, e se voleva consigliarmi la maniera più opportuna per prepararmi in vista della successiva selezione. Mi hanno richiamato lo stesso pomeriggio per una prova». La selezione si basa sull’abilità e Camilla, che oltre alla passione evidentemente ha pure l’occhio, decora le torte che le vengono proposte in maniera soddisfacente.

IMPRENDITRICE – Il resto della storia parla di un apprendistato concluso con lode, di un rientro in Italia perché «nel mio Paese io ci sto bene» e di un’impresa personale, Camilla Rossi Torte, che grazie al passaparola sta riscuotendo un successo insperato. Il segreto? «Credere in quello che faccio, e farlo bene. Utilizzare sempre gli ingredienti migliori e cedere al perfezionismo nella decorazione. E proporre sul mercato un tipo di prodotto che prima non c’era».

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