Da nord a sud, giungla delle tasse universitarie

Al Nord l’università costa cara, più che al Sud. Gli atenei settentrionali hanno infatti tasse più alte del 25,27 per cento rispetto a quelle meridionali per quanto riguarda le fasce minime di reddito e la differenza arriva fino all’88,87 per cento nel caso dei redditi più alti. E anche rispetto alla media nazionale, si conferma […]

Al Nord l’università costa cara, più che al Sud. Gli atenei settentrionali hanno infatti tasse più alte del 25,27 per cento rispetto a quelle meridionali per quanto riguarda le fasce minime di reddito e la differenza arriva fino all’88,87 per cento nel caso dei redditi più alti. E anche rispetto alla media nazionale, si conferma la tendenza: in fascia di reddito maggiore, la retta degli atenei del Nord è più alta del 13,13 per cento. E  considerando la fascia più bassa (6 mila euro), la cifra lievita ancora: più 32 per cento rispetto alla media. E’ questo il quadro delineato nell’indagine dell’Osservatorio nazionale sui consumi di Federconsumatori che, nel "rapporto sui costi degli atenei italiani", ha scelto di misurare, città per città, il "prezzo" da pagare per accedere ai centri del sapere. 

Parma la più cara. Dopo aver selezionando le tre regioni con il maggior numero di studenti, per ognuna, l’associazione ha selezionato due atenei in base al numero totale degli iscritti. In testa alla classifica delle università più o meno care d’Italia, l’Ateneo di Parma dove gli studenti che rientrano nella prima fascia pagano rette annuali di 865 euro (per le facoltà scientifiche) e 740 euro (per quelle umanistiche). Cifre pari al 71 per cento in più rispetto alla media nazionale. Al secondo posto si piazza l’Università degli studi di Milano con una retta annuale di 685 euro per le facoltà umanistiche e 789

euro per le facoltà scientifiche. Tra gli atenei più  "economici" si piazza l’Università Aldo Moro di Bari che regola l’importo della rata sulla base del merito: una votazione media o bassa e un basso numero di crediti conseguiti si traduce in un aumento delle tasse. Al secondo posto tra le università meno costose anche l’Alma Mater di Bologna che considera come fascia base quella che arriva a circa 20.000 euro, soglia al di sotto della quale gli studenti pagano il 55 per cento in meno rispetto alla media nazionale.

La replica di Parma. "In relazione alla diffusione dei dati contenuti nel dossier Federconsumatori sui costi delle Università italiane – risponde con un comunicato l’università di Parma – l’Ateneo esprime perplessità e amarezza per la non adeguata modalità di raffronto delle tassazioni studenti, dal momento che ogni Ateneo segue regole diverse di individuazione delle fasce Isee ((Indicatore di Stato Economico Equivalente) su cui applicare tasse e contributi". L’Università di Parma prevede infatti 4 fasce di tassazione. Una prima fascia, ordinaria, si applica a studenti con un Isee fino a 28.000 euro (740 per le umanistiche e 865 per le scientifiche), una seconda fascia con un Isee sino a 38.000 euro, una terza fascia con un Isee fino a 75.000 euro e una quarta fascia con un Isee dai 75.000 euro in su. Secondo l’Ateneo parmigiano, quindi, la comparazione fatta da Federconsumatori mette a confronto la tassa ordinaria che per le università rilevate non è attestata sino a un massimo di 28.000 ma a 6.000 euro. "Perciò è vero che chi ha un Isee di 6.000 euro spende meno in altre università, ma non si può dire lo stesso per chi si colloca oltre i 20.000 euro".

"Operai o gioiellieri, la retta non cambia". Stando ai dati del ministero dell’Economia del 2009, la maggior parte delle famiglie monoreddito di lavoratori autonomi guadagna intorno ai 10mila euro annui, rientrando così nella prima fascia Isee a cui corrisponde una tassa universitaria media annuale di 535,34 euro. Sempre secondo i dati del Ministero, il 49,7 per cento dei lavoratori dipendenti incassa invece tra i 15.000 e i 30.000 euro annui, finendo così, a seconda delle università, nella seconda o terza fascia contributiva.

"Il problema è il modello Isee".  Tutta colpa del "riccometro". L’Isee, lo strumento che consente di accedere ad una serie di prestazioni sociali. Nel caso di abitazione in affitto, per esempio, l’indicatore economico ammette delle detrazioni per il canone di locazione ma nessuna agevolazione è consentita per chi ha, da qualche mese, iniziato a pagare più di 800 euro mensili di mutuo, pur avendo un solo stipendio. In altre parole, mantenendo lo stesso reddito, chi paga l’affitto avrà un valore Isee più basso di chi paga il mutuo. In più, se è vero che normalmente chi ha un reddito molto basso è totalmente esonerato dal pagamento delle tasse, è altrettanto vero che le fasce contributive sono fin troppo "larghe". In altre parole, chi guadagna 10.000 euro annui rientra nella prima fascia ma chi ne guadagna solo 5 mila in più rischia di finire automaticamente nella seconda o terza fascia, di gran lunga più onerosa ma che comprende anche redditi molto più alti. Così accade, come all’università di Parma, che la tassazione ordinaria valga per tutti gli studenti, figli di operai o di gioiellieri, con un Isee che si attesta entro un limite di 28.000 euro. Il che, come sottolinea Federconsumatori, potrebbe portare a delle ingiustizie. Perché è chiaro che tra 15 mila euro e 28 mila, 13 mila euro in più fanno la differenza.

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