Crisi economica: decifrarla attraverso i consumi e imparare a superarla

Decifrare la crisi italiana è possibile: basta osservare i dati la capacità di spesa delle famiglie, la curva dei consumi e i nuovi stili di vita. E capire come uscirne si può.

Come sopravvivere alla crisi. Più che una gelata, è un lungo, lunghissimo inverno. Vista attraverso l’osservatorio dei consumi la crisi italiana è molto più decifrabile e combina, sotto un unico indicatore, tre elementi che stanno impoverendo il Paese e aumentando le diseguaglianze sociali e territoriali, ma anche modificando i nostri comportamenti nell’universo degli acquisti: la capacità di spesa delle famiglie, il diverso andamento della curva dei consumi (tra Nord e Sud), i nuovi stili di vita. Nulla è omogeneo, e qualsiasi lettura dei dati che non tenga conto di queste diversità diventa fuorviante, perfino inutile.

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Il reddito disponibile. Il rallentamento dei consumi trova una sua genesi iniziale, un punto di partenza, nella caduta del reddito disponibile. Con una profonda differenza geografica. L’Istat, infatti, ci ricorda che il reddito medio degli italiani è sceso a quota 29.956 euro su base annua (pari a 2.496 euro al mese), ma questa cifra crolla del 28 per cento in Sicilia, dove la metà delle famiglie vivono con 1.484 euro al mese. Dunque, non ci sono soldi per mettere nuova benzina nel motore dei consumi. E perfino le aspettative sul futuro spaccano il Paese: mentre al Nord c’è ancora un abbondante 60 per cento di italiani che si considerano soddisfatti per la loro situazione economica (forti anche della tenuta dei risparmi), nel Mezzogiorno questa percentuale precipita al 25 per cento. E le tante manovre economiche che si sono ripetute negli ultimi anni, dal 2010 ad oggi, non hanno avuto lo stesso impatto: nel Nord hanno eroso il 6 per cento del pil, nel Sud il 9,5 per cento. E’ chiaro che in queste condizioni non c’era da aspettarsi molto dal bonus Irpef di 80 euro al mese. Quando avremo i dati definitivi di fine anno, scopriremo che gli italiani, specie al Sud, hanno speso questi soldi per pagare arretrati (dalle bollette domestiche al condominio) o al massimo per non ridurre ulteriormente la propensione al risparmio. La deflazione, poi, altro non è che un termometro che accentua la spirale negativa dei consumi: si spende meno in attesa di prezzi più bassi, e gli acquisti diminuiscono.

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L’andamento della curva dei consumi. Gli acquisti stanno diminuendo, senza una reale inversione di tendenza, in tutti i settori merceologici. A partire dai consumi alimentari che dal 2012 registrano un calo di fatturato pari a 3,6 miliardi di euro. Una cifra molto alta, come l’ennesima caduta delle vendite al dettaglio registrata da Confcommercio già all’inizio dell’estate: un meno 3,5 per cento, rispetto a un 2013 già catastrofico. Se poi andiamo a scomporre i dati sul piano geografico, scopriamo che anche la caduta dei consumi si presenta con valori molto diversi, regione per regione. Un italiano medio ormai non spende più di 1.094 euro l’anno in beni durevoli (erano 1.300 soltanto nel 2012), ma a fronte di una diminuzione del 6,7 per cento nel Nord, come segnalano le statistiche di Findomestic, nel Sud la caduta è del 14,8 per cento. Più del doppio. Ancora peggio nel settore dell’elettronica di consumo, una delle aree più colpite dalla crisi: meno 22 per cento il dato nazionale, meno 41,8 per cento il dato siciliano. Gli italiani delle regioni settentrionali, anche se con ritmi molto più lenti, continuano ad acquistare elettrodomestici (- 0,6 per cento); quelli delle regioni meridionali hanno tagliato in modo netto questa fonte di spesa domestica (meno 4,8 per cento). Ancora più interessante, in termini di differenze, è la diminuzione degli acquisti di auto (nuove ed usate) e motocicli: meno 7,8 al Nord, tre punti in più di diminuzione degli acquisti al Sud. E se in Piemonte, in piena crisi, nel 2013 sono state immatricolate 174mila nuove automobili con un aumento a due cifre del 15 per cento, in Campania questa voce di consumo si è fermata a quota 48mila con un caduta dell’11 per cento rispetto al 2012.

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I nuovi stili di vita. Qui più che le differenze geografiche contano le nostre caratteristiche genetiche, e quella naturale tendenza adattiva degli italiani che ha sempre fatto la cifra di un popolo. Anche in materia di consumi. Ci sono alcuni stili di vita che stanno radicalmente cambiando, trascinandosi dietro una evoluzione dei consumi che non può essere interpretata solo attraverso il segno meno o più, una diminuzione o un aumento. Facciamo due esempi, riferiti a consumi molto popolari: l’alimentare e l’auto. Nel primo caso gli sprechi degli acquisti sono diminuiti (la fonte è Coldiretti) del 15 per cento. Che cosa significa? Semplice: stiamo modificando il modo di fare la spesa. Non riempiamo più i carrelli in modo compulsivo, quando entriamo in un supermercato abbiamo l’elenco delle cose da acquistare, riduciamo il cibo che finisce nell’immondizia. Non solo. Nella ricerca di buoni prezzi e di buona qualità, è stata la domanda degli italiani a modificare l’offerta sul mercato dei generi alimentari: pensate che circa 100mila famiglie fanno la spesa attraverso i gas (gruppi di acquisto solidale) o mercati a chilometro zero, con un risparmio attorno al 20 per cento, e non c’è massaia italiana che non abbia messo piede in un mercato a chilometro zero. Quanto all’automobile, il cambio di paradigma è radicale: in una metropoli come Milano ci sono più di 200mila cittadini che ormai utilizzano l’auto condivisa (attraverso il servizio di car sharing e car2go). Sono italiani che non acquistano più l’auto come negli anni Ottanta e pensano perfino di rinunciarci, almeno per gli spostamenti in città. E questo atteggiamento non è figlio né della recessione né della deflazione: è solo un nuovo stile di vita. Molto più lungo di una congiuntura economica.

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