Cinquanta anni di rinnovabili

Solare, fotovoltaico, rinnovabili, eolico, sono parole oggi comuni, concetti che sdegnano la speranza di liberazione dalla schiavitù del petrolio, dai pericoli dei cambiamenti climatici che provocano un riscaldamento planetario, ma anche oggetto di grossi affari. Molte imprese industriali, ma anche banche, offrono, grazie a incentivi statali, lauti guadagni a chi installa pale eoliche nei propri […]

Solare, fotovoltaico, rinnovabili, eolico, sono parole oggi comuni, concetti che sdegnano la speranza di liberazione dalla schiavitù del petrolio, dai pericoli dei cambiamenti climatici che provocano un riscaldamento planetario, ma anche oggetto di grossi affari. Molte imprese industriali, ma anche banche, offrono, grazie a incentivi statali, lauti guadagni a chi installa pale eoliche nei propri campi e pannelli solari sul tetto delle case o sui terreni una volta coltivati a vigneti o grano. Ogni tanto ci sono dubbi su questo improvviso amore per tali fonti energetiche; le pale eoliche in certi luoghi imbruttiscono il paesaggio; il basso rendimento di energia, rispetto alla superficie occupata, e la discontinuità dell’elettricità ottenibile dal Sole e dal vento richiedono speciali reti di distribuzione.

La passione solare riguarda soprattutto il Mezzogiorno dove, del resto, è più intensa la radiazione solare e spesso ci sono cieli limpidi e trasparenti e colline ventose. Continuamente si leggono notizie di mirabolanti invenzioni di nuove celle fotovoltaiche anche se attualmente la maggior parte è ancora ferma al silicio, le cui proprietà fotoelettriche sono state perfezionate nei primi anni cinquanta; i motori eolici sono espansioni, su torri alte un centinaio di metri e pale del diametro di diecine di metri, dei più modesti prototipi degli anni trenta. Dal punto di vista dell’innovazione siamo in un vicolo cieco ?

Una importante svolta verso le fonti energetiche rinnovabili si è avuta nel 1953 quando un gruppo di imprenditori dell’Arizona, negli Stati Uniti, uno stato pieno di Sole, ha chiamato a raccolta fisici, ingegneri e chimici per fare il punto sulle conoscenze disponibili nel campo dell’energia solare. Il congresso che si tenne a Phoenix e Tucson nel 1955, diede vita ad un grande fermento di ricerche; l’energia nucleare non sembrava rispondere alle grandi speranze iniziali; carbone e petrolio erano le fonti dominanti; l’energia idroelettrica (l’unica fonte rinnovabile, legata al continuo moto delle acque) era prodotta, ma ancora si scala modesta, in molti paesi, fra cui l’Italia. Nella seconda metà degli anni cinquanta del Novecento si ebbero molte innovazioni dovute anche a studiosi italiani, fra cui un gruppo nell’Università di Bari impegnato per la produzione di acqua dolce dal mare con l’energia solare.

Questo fermento indusse le Nazioni Unite a convocare a Roma, nell’agosto 1961, esattamente cinquant’anni fa, una grande “Conferenza sulle nuove fonti di energia”. Col termine “nuove” si intendevano l’energia solare, del vento e la geotermia, quelle che oggi, oltre all’energia idroelettrica, sono le vere fonti energetiche rinnovabili, tutte derivanti dall’inesauribile forza del Sole o, per la geotermia, dall’inesauribile calore del ventre della Terra. Alla conferenza di Roma portarono il loro contributo studiosi sovietici che da anni avevano dei laboratori solari e utilizzavano l’energia del vento soprattutto nelle zone agricole isolate, studiosi israeliani, indiani, africani, sud americani, e naturalmente europei. La conferenza durò due settimane e le relazioni sono contenute in sette grossi volumi (oggi difficili da trovare), e meriterebbero di essere rilette perché misero in evidenza speranze e contraddizioni che si sono trascinate fino ad oggi.

Da una parte molti guardano alle fonti di energia rinnovabili come parziale sostituzione delle fonti fossili con macchine complicate e sofisticate, di delicata gestione e manutenzione, per ottenere soprattutto una parte di quella elettricità che oggi è fornita dalle centrali a carbone o a gas naturale. Così vengono proposte grandi centrali fotovoltaiche da installare nei deserti, centinaia di ettari di specchi esposti al vento e alla polvere, motori eolici grandi come cattedrali da costruire in luoghi spessi impervi, magari nel mare, alla ricerca di venti abbastanza costanti. Gli studi presentati a Roma già mezzo secolo fa indicavano invece che il vero grande campo di utilizzazione, o, se volete, “mercato”, delle “nuove” energie è costituito dalla possibilità di risolvere i problemi fondamentali dei miliardi di abitanti dei paesi oggi arretrati, sparsi nelle zone isolate, in Africa e Asia, lungo le coste degli oceani, per il cui reale sviluppo umano, prima che economico, davvero le fonti rinnovabili possono dare un contributo essenziale.

A questo fine occorre pensare alla progettazione di dispositivi semplici, comprensibili da chi li usa e li deve far funzionare, duraturi, facilmente riparabili, costruibili con i materiali disponibili sul posto. Per esempio dei semplici forni solari, con specchi realizzati con fogli di alluminio, possono essere utilizzati per la cottura degli alimenti in villaggi in cui l’unica fonte di energia è ancora oggi lo sterco essiccato. Semplici impianti solari possono assicurare l’essiccazione dei raccolti agricoli in luoghi in cui sono impossibili altri sistemi di conservazione degli alimenti; piccoli impianti fotovoltaici possono alimentare radio o telefoni o fornire l’elettricità per azionare frigoriferi in cui conservare medicinali; distillatori di acqua marina col calore solare possono fornire piccole ma essenziali quantità di acqua potabile.

Quei pannelli solari che da noi vengono venduti per scaldare l’acqua delle piscine, nei paesi poveri potrebbero essere utilizzati per azionare delle semplici pompe per sollevare l’acqua dai pozzi. Da noi si parla di costruire centrali termoelettriche alimentate con “biomassa” costituita da olio di palma o oli vegetali importati dai paesi poveri, i quali così diventano più poveri e distruggono la loro agricoltura e l’ambiente per fornire ai paesi ricchi sostituti dei combustibili fossili. Invece la biomassa costituita da residui agricoli e forestali, disponibili in tanti villaggi, potrebbe essere utilizzata, in modo più efficiente e meno inquinante, con perfezionamenti delle stufe costruite negli stessi paesi arretrati utilizzando rottami metallici o vecchi fusti abbandonati. E’ il campo di lavoro delle “tecnologie intermedie” o “appropriate”, che propongono soluzioni “semplici” ma tecnicamente efficaci per risolvere i problemi locali dei singoli paesi.

Fra le “nuove” fonti di energia le Nazioni Unite a Roma insistettero per inserire quella geotermica, con una visita a Larderello, in Toscana, che era all’avanguardia nella produzione di elettricità dal vapore geotermico. Dalle fonti energetiche rinnovabili dipenderà sempre più il futuro, sia nei paesi ricchi sia in quelli poveri; per un vero progresso in questo campo forse non sarà male anche andare a riscoprire vecchie invenzioni dimenticate e magari sepolte negli atti delle conferenze di mezzo secolo fa. Forse la salvezza può venire da ricerche di “storia dell’energia solare” e delle fonti rinnovabili, di cui ci ben pochi si occupano.

Giorgio Nebbia

Torna in alto