Calcio violento e sprechi: tutti gli errori e l’unica soluzione possibile

Ordine pubblico improvvisato, piano sicurezza che fa acqua da tutte le parti, delinquenti che entrano allo stadio con le bombe carta: da qui una notte di follia del calcio. La soluzione non è il Daspo, ma basterebbe copiare gli inglesi che hanno isolato gli hooligans

CALCIO VIOLENTO – Il calcio della violenza e degli sprechi. Proviamo a mettere qualche punto fermo, prima che cali il sipario sull’ultimo fatto di cronaca nerissima e tutto torni come prima, perché lo spettacolo must go on, deve continuare, e il circo del pallone violento riprenda con le sue periodiche esibizioni. Primo punto: sabato sera, a Roma, abbiamo assistito a un’organizzazione dell’ordine pubblico improvvisata e maldestra. Roba da non credere. E qui non contano le opinioni, che in questi giorni sono venute giù come il diluvio, ma i fatti, certi e documentati, come quelli descritti da Il Mattino. I pullman, in circostanze analoghe bloccati al Raccordo anulare con i tifosi poi scortati dalla polizia fino allo stadio, sono stati fatti arrivare perfino in una zona, quella del tentato omicidio, tradizionale roccaforte dei più scalmanati ultrà della Roma. Con quale logica? E con quale calcolo dei rischi? Domande ancora senza risposte. Allo stesso tempo, proprio nell’epicentro degli scontri, a Tor di Quinto, mancavano gli agenti, e quelli previsti, di rinforzo in arrivo da Napoli, erano stati dirottati a una manifestazione sulla casa. La pessima distribuzione delle forze dell’ordine ha poi contribuito all’ingresso indisturbato, ai cancelli, di tifosi, della sottospecie delinquenti, con spranghe, bombe carta, bottiglie incendiarie. La materia prima per una tragedia annunciata. Se questi sono i fatti, e nessuno è in grado di smentirli, qualcuno ne dovrà rispondere, e non certo i poveri agenti, servitori dello Stato che rischiano la pelle in giornate come quella di sabato, ma semmai i loro superiori gerarchici e l’autorità politica.

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VIOLENZA NEGLI STADI – Punto due: la cosiddetta trattativa, chiamatela come vi pare ma tale è stata, tra un capo ultrà con tanto di nome di battaglia, Genny ‘ a carogna, il calciatore inviato dalla società Calcio Napoli e i rappresentanti della Polizia, non può essere considerata scandalosa, ma semplicemente necessaria. Anzi, indispensabile. Bisogna salvare il salvabile, e cioè evitare un disastro più grave, garantire l’incolumità di decine di migliaia di persone, esposte a rischi serissimi e concreti. E trattare ha rappresentato soltanto la naturale conseguenza di un’organizzazione dell’ordine pubblico che, già fuori dallo stadio, ha fatto acqua da tutte le parti.
Terzo punto: se la soluzione al male cronico del calcio prigioniero della dittatura della violenza e di una inettitudine elevata a sistema, è quella del Daspo a vita, proposta dal ministro degli Interni, stiamo veramente freschi e possiamo archiviare l’intera pratica, e non solo il singolo episodio, con il titolo Non ne parliamo più. Il Daspo, come già abbiamo visto, non è un deterrente risolutivo, ed a proposito di forze dell’ordine, non ci sono neanche le condizioni, in termini di risorse umane, per applicarlo con rigore. Né serve inquadrare la violenza dentro e fuori gli stadi nella categoria della lotta alla camorra, perché significherebbe soltanto andare fuori strada già nella lettura del fenomeno: gli uomini dei clan sono dappertutto, dunque anche attorno al circo del pallone, ma la violenza di cui parliamo ha tante etichette, e non è solo made in Napoli o made in Roma.

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L’unica soluzione, che non si costruisce con una battuta data in pasto ai giornalisti per fronteggiare l’indignazione dell’opinione pubblica, è quella radicale, e ha bisogno di tempo, di provvedimenti forti e chiari, e di una ferma volontà politica, per essere attuata. Stiamo parlando non di un singolo provvedimento, ma di una serie di regole che ripristino con forza, come fa lo Stato quando è in gioco la sicurezza e dunque la libertà dei cittadini, l’autorità delle istituzioni, colpendo con giudizi veloci e pene certe i responsabili del caos e della violenza, e rompendo ogni spazio di contiguità tra le società sportive e quella parte della tifoseria che si considera da sempre al di sopra della legge.

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RISSE NEGLI STADI DI CALCIO – Vi sembreranno concetti astratti, ma molto concretamente sono stati applicati in Gran Bretagna, dove dalla dilagante violenza degli hooligans degli anni Ottanta si è passati a stadi moderni (altro capitolo della soluzione) e sicuri, dove l’aria che si respira è sempre quella di una festa popolare e non di una partita con il rischio del morto. Il modello inglese ha funzionato nel suo rigore e nel suo non breve spazio temporale, tanto da essere applicato in continuità dai governi di opposto colore politico di Margaret Thatcher e di Tony Blair. Dovremmo semplicemente copiarlo, senza se e senza ma, provando così a restituire al calcio (magari non più governato dai soliti mandarini parolai che sono in campo da decenni ) la sua dignità, allo Stato le sue funzioni ed ai tifosi, quelli veri, i loro diritti e i loro doveri.

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