Immigrati: la rete dell’accoglienza è un colabrodo. Perfetta per truffe e sprechi

Uno straniero che fa domanda di asilo dovrebbe stare in un centro 35 giorni, invece ci resta anche due anni. E costa 35 euro al giorno. Meglio chiudere questi baracconi del malaffare e puntare su piccoli centri gestiti dai comuni.

ACCOGLIENZA IMMIGRATI IN ITALIA –

L’ivoriano Mamadou Kamara, accusato di avere ucciso Vincenzo Solano e la moglie Mercedes, è un ospite del Centro di accoglienza richiedenti asilo (Cara) di Mineo, epicentro di un doppio scandalo: pochi controlli e molti affari illegali, dagli appalti truccati che portano fino alla cupola di Mafia capitale, a un giro di prostituzione che non si riesce a bloccare. Ma il caso di Mineo, dove attualmente ci sono 3.080 persone rispetto alle 2.000 previste, non è isolato, e l’intero sistema dell’accoglienza degli immigrati, nel nome della solita emergenza convertita a business, è diventato un costoso colabrodo, che non favorisce l’integrazione ma semmai crea nuovi spazi alla criminalità.

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La rete dell’emergenza.  Gli snodi sono quattro: 14 Cara e Centri di accoglienza (Cda), 4 centri di primo soccorso e accoglienza (Cpsa), 5 Centri di identificazione ed espulsione (Cie) e 1.861 strutture temporanee regionali. Poi ci sono i posti nel circuito Sprar (Sistema di protezione dei richiedenti asilo), gestito direttamente dai comuni e finanziato dal ministero degli Interni. Dove si crea la zona franca? Nei Cara e nelle strutture temporanee, dove ad oggi si trovano quasi 80mila immigrati, a fronte dei 21mila nello Sprar. Si tratta di luoghi definiti «aperti», dove non esiste una vigilanza rigida, tipo caserma, le identificazioni avvengono attraverso documenti spesso falsi, e ciascun immigrato è libero di uscire ed entrare quando vuole. Come in un albergo. E come nel caso di Mamadou Kamara.

Un rapporto da ribaltare. Il prefetto Mario Morcone, capo del dipartimento dell’Immigrazione, lo dice chiaramente: «Bisogna invertire una proporzione insostenibile, e investire sui piccoli centri affidati ai comuni. I controlli sarebbero più efficaci, l’integrazione diventerebbe possibile, avremmo più trasparenza nella gestione e meno spazi per attività illecite. Se invece andiamo avanti con centri da 3mila persone, ci vorranno almeno dieci anni per riuscire a governare il fenomeno…». Ma per il momento sono appena 500 i comuni che hanno accettato di entrare nel circuito Sprar e vedremo se il numero aumenterà dopo che, tra qualche settimana, entrerà in vigore una circolare che porta al 95 per cento la copertura finanziaria, da parte del ministero, per ciascun centro.

I numeri non tornano. La rete colabrodo è certificata da un numero: l’immigrato che chiede lo status di rifugiato e la protezione internazionale dovrebbe avere una risposta entro 35 giorni, e invece passano anche due anni. Perché? Le 40 commissioni territoriali, raddoppiate nello scorso mese di maggio, non riescono a smaltire le domande e poi, altro varco per l’illegalità, in caso di giudizio negativo l’immigrato bocciato può fare ricorso al giudice per tre gradi. E così soltanto nella provincia di Catania, dove si trova il Cara di Mineo, ci sono 3mila ricorsi pendenti, con tempi medi superiori ai 2 anni. La richiesta di asilo diventa un paravento, uno scudo burocratico (con tanto di modulo C3 da compilare) grazie al quale qualsiasi immigrato, compresi quelli che hanno le peggiori intenzioni, si garantisce una gratuita e lunghissima ospitalità.

Bocciati e scomparsi. Al 28 agosto scorso risultano 46.934 persone che chiedono asilo in Italia e 63.000 da sentire dalle commissioni, dove ancora si stanno smaltendo domande del 2012. Delle 35.319 pratiche esaminate nel corso del 2015, soltanto 2005, pari al 6 per cento, sono state accolte, mentre 1.286 presunti rifugiati risultano irreperibili. Scomparsi nel nulla. È chiaro che, con queste statistiche, si dimostra come la rete dell’accoglienza non funziona, come sanno bene a Bruxelles dove cercano ogni pretesto per lasciarci soli con i nostri guai, e l’Italia sta facendo crescere all’interno di un dramma biblico, una comunità di clandestini.

L’enigma siriano. La conferma del fallimento di una politica che ha stravolto il senso dell’emergenza, arriva dalla classifica dei paesi di provenienza delle persone che cercano asilo. In testa ci sono stati dell’Africa (Nigeria, Mali, Gambia, Senegal), seguiti da Pakistan, Afghanistan e Iraq. E i siriani, travolti da una guerra civile con centinaia di migliaia di vittime? Dovrebbero essere al primo posto nelle richieste di asilo e di protezione internazionale, e invece le domande presentate nel 2015 sono appena 142: loro, rifugiati veri, preferiscono tentare di raggiungere la Germania, dove possono ricongiungersi ai parenti, e non sono interessati a sfruttare la rete colabrodo dell’assistenza in Italia.

Il business accoglienza.  Nelle maglie di un sistema che non consente di distinguere le persone, è nata un’industria, una delle peggiori del made in Italy, in quanto mette insieme cooperative vere e false, criminalità organizzata e microdelinquenza, infiltrazioni criminali e clientele politiche. L’immigrato in attesa di una risposta sul suo eventuale status di rifugiato costa allo Stato 34,60 euro al giorno, e soltanto nel Cara di Mineo si spendono circa 3 milioni di euro al mese. Soldi che, come dimostrano le inchieste giudiziarie in corso, sono spartiti in gran parte tra il Consorzio Sisifo (Lega delle Cooperative) e la holding Cascina Global Service (Comunione e Liberazione). Centrodestra e centrosinistra, bianchi e rossi. Padroni del campo e tutori di una galassia di società che, con diversi nomi, poi ritroviamo a Foggia, Bari, Roma, Crotone. Ovunque. Agli appalti, spesso assegnati a trattativa privata, si sommano le assunzioni: 400 dipendenti solo a Mineo. E il conto finale sale, ogni giorno, con l’incognita di dove si troveranno i fondi per coprirlo. Gli ultimi calcoli del ministero dell’Interno parlano di una spesa complessiva, prevista per il 2015, attorno a 1 miliardo di euro: molto più dei 635 milioni di euro pagati lo scorso anno. Con l’aggravante che, a forza di finanziare strutture «aperte», stiamo creando nuovi focolai di attività illecite, a tutto campo, senza riuscire ad aiutare davvero i poveri immigrati in fuga dalle guerre e dalla devastazioni dei loro paesi.

(Fonte immagine: Getty Images)

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